Recensione: Egomania

Di federico venditti - 1 Dicembre 2018 - 4:00
Egomania
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2018
Nazione:
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78

Avevamo perso le tracce di Hank Von Hell dopo la sua dipartita dai Turbonegro, i re indiscussi del death punk carico di doppi sensi e pesanti allusioni sessuali, assolutamente divertenti e spassose. Il simpatico e carismatico cantante già se ne era andato dai Turbonegro nel lontano 1998 in seguito alla sua dipendenza dall’eroina per poi ritornare a bordo della nave madre ad inizio duemila, lasciando di nuovo otto anni fa per ritirarsi a vita privata con la sua famiglia. Mentre i suoi ex compagni di disavventure hanno trovato un buon sostituto in Tony Sylvester dietro il microfono, pubblicando due album molto buoni (specialmente l’ultimo Rock n Roll Machine), il rotondo Hank stava meditando un ritorno in grande stile. Egomania esce senza grandi proclami e per nostra gioia prosegue il discorso fatto molti anni fa con Retox, proponendo uno stile frizzante della solita miscela esplosiva di punk hard rock impregnato di Stooges, Alice Cooper, Kiss e tutto il meglio della scena glam anni ’80. Lo stile irriverente pieno di doppi sensi è lo stesso dei bei tempi andati e, seppure non parliamo certo di un capolavoro della musica moderna, l’album è un viaggio nei bassifondi più malfamati della vostra città nel cuore della notte. La title track scalda i motori a dovere e parte subito con Hank che prende in mano le redini della situazione con i classici cori che lo hanno reso famoso in passato. Pretty Decent Exposure è un vivace rock n roll imbevuto di quelle sonorità proto punk che ricordano le band di Detroit come gli MC5 e quel sound insalubre che sa di benzina e asfalto; il primo classico in scaletta però, che non avrebbe sfigurato su Scandinavian Leather, è il funk metal di Blood, un potenziale singolo scala classifiche.

La qualità di Hank Von Hell è quella di servirvi a tavola un hamburger con patitine fritte e farle passare per ostriche e champaigne con estrema naturalezza. D’altronde Dirty Money prova proprio questa mia teoria, pochi semplici riff arrangiati con estrema disinvoltura, cosi come nella veloce e sbarazzina Burn To Burn che sembra un brano inedito dei Turbonegro tanto il mood è speculare. Ci chiediamo allora: perché non tornare insieme con Euroboy e soci? Tra rimandi ad Alice Cooper (Never Again) ed altre citazioni alla Turbonegro si arriva spediti verso l’ultima traccia del disco, la divertente Adios (Where is my Sombrero).

Tirando le somme, un album inaspettatamente riuscito e che vi farà passare quaranta minuti di sano hard rock suonato con il cuore ed un’altra parte anatomica, come direbbe Hank Von Hell. Ben tornato Chubby Dude!

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