Recensione: Egotheism

Di Matteo Di Leo - 30 Gennaio 2013 - 0:00
Egotheism
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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73

Non smette di stupirmi la Finlandia. Continua a sorprendermi come da una nazione così piccola possa giungere un numero tanto elevato di artisti di vari generi, per di più mantenendo un livello qualitativo medio-alto, almeno in linea di massima. Sarà per il clima polare che li costringere a rimanere al chiuso e suonare, oppure per quelle notti infinite e lo stupendo paesaggio naturale che li abbraccia o semplicemente c’è qualcosa che un uomo come me, nato in un posto altrettanto splendido ma agli antipodi come la Sicilia, non può capire. Sta di fatto che le band finniche ormai quasi non si contano più.

Alla colonia finlandese si uniscono ora pure i Clock Paradox che, fin da questa prima pubblicazione denominata “Egotheism”, si dimostrano l’ennesima interessante realtà sbucata fuori dalla terra dei mille laghi. Spesso superficialmente classificati come death metal progressivo e tecnico, in realtà i Clock Paradox non sono affatto un altro manipolo di giovanotti dedito alle gesta di Death, Cynic et similia come da questa fuorviante definizione si potrebbe pensare. I Nostri sono invece autori di una proposta che ha le fondamenta nel predetto genere, ma è espressa in modo schizzato, ‘cervellotico’ ma non di meno melodico, concettualmente (più che stilisticamente) vicino ai ‘prime movers’ Meshuggah e ancor di più ai nuovi eroi Gojira. Non mancano ammiccamenti anche ai Fear Factory della prima, sfavillante parte di carriera.

Ci troviamo quindi di fronte a un metal estremo dinamico e basato su una non ossessiva ma comunque costante alternanza di tempi (il batterista Jani Kuorikosk non disdegna affatto tra l’altro il blast-beats) e di umori, dove le due chitarre di Jyrki Hiltu e Antti Karhu sono chiamate a sezioni ritmiche e armonizzazioni arzigogolate nonché a ‘ricami’ in dissonanza che aggiungono un agghiacciante senso di estraneità nell’ascoltatore. Su tutto la voce versatile di Jouni Koskela che passa con disinvoltura da profondi growl a screaming che varie volte mi hanno riportato alla mente quanto fatto da Ishahn in “Prometheus: The Discipline Of Fire & Demise”.

Ciò che indubbiamente distingue i ragazzi di Oulu sono le atmosfere plumbee e uggiose che ammantano le canzoni conferendone un fascino tetro e talvolta inquietante, che ben si sposa con la violenza che deflagra dai solchi del disco. L’uso che ne viene fatto è molto vario ed estremamente personale. Possiamo infatti ritrovarcele nel corso dell’intero brano o in parti di esso, per smorzare la tensione o per sottolineare determinati passaggi. Quest’ultimo è forse il tratto più interessante, essendo “Egotheism” un oscuro concept album strutturato come il diario personale di uno psicopatico che annota su di esso i suoi pensieri e considerazioni su se stesso e la società circostante. Una scelta narrativa che per certi versi non è troppo distante da quanto fatto dai Cult Of Luna in “Eternal Kingdom”.

“In The Flesh” evidenzia e compendia quanto testé descritto. Trattasi di un brano infatti dannatamente violento ma in cui per la prima volta udiamo l’ingresso di alienanti melodie. All’altezza del ritornello, infatti, la band quasi si placa e si manifesta l’alone notturno evocato dalle chitarre. Davvero un gran bel pezzo, la cui struttura viene capovolta in “Cleasing Self”. Se difatti nel pezzo precedente è la furia metal più oltranzista il perno su cui gira tutto, qui si ha una preponderanza di parti ragionate seppur disturbanti, pur non mancando scatti di furiosa ira metallica. “The God Complex” invece sembra avere tutta l’aria di una killer-track di groove/death metal come comunque non mancano nel disco (“Virtual Compassion”, “Machine Mind”) ma a fine brano calano di nuovo le luci, si raffreddano gli animi e le sei corde disegnano sinistri paesaggi. Chiusura col botto affidata ai sette minuti di “Paradigm” e al suo riff portante che ricorda non poco il metal made in Gothenburg, anche se poi il pezzo si evolve con tutte le caratteristiche già descritte nelle righe precedenti, solo che la qualità di questa canzone e la prova fornita da tutti i ragazzi eleggono questa traccia di chiusura a ‘paradigma’ del suono dei Clock Paradox, proprio come suggerito dal titolo.

Un buon debutto, quindi, cui vanno smussate inevitabili ingenuità e leggerezze, come può essere una certa prolissità o il non focalizzare benissimo la direzione da far prendere al brano. Inoltre suggerirei alla band di utilizzare di più i soli, viste le capacità dei chitarristi e i risultati cui sono arrivati nei pochi lead guitar presenti, oltretutto in questo modo renderebbero la proposta più fluida. Ma un ascolto, anche due, lo meritano tutto.

Matteo Di Leo

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Tracce:
1. Virtual Compassion 4:45
2. In The Flesh 4:52
3. Machine Mind 4:30
4. Clesing Self 3:30
5. The God Complex 4:30
6. Void 5:08
7. Origo 6:02
8. Paradigm 7:19

Durata 40 min.

Formazione:
Jouni Koskela – Voce
Antti Karhu – Chitarra e voce
Jyrki Hiltunen – Chitarra
Timo Tyynismaa – Basso
Jani Kuorikosk – Batteria
 

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