Recensione: Eld

Di Stefano Santamaria - 22 Giugno 2017 - 0:00
Eld
Band: Skogen
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2017
Nazione:
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85

Eld” è la terza fatica discografica in studio degli svedesi Skogen, uscito originariamente nel 2012 viene oggi ristampato via Nordvis Produktion. Ammettiamo di non aver mai incrociato la strada di questo progetto, colpevolmente, visto cosa ci ritroviamo tra le mani. 

Il full-length è un concentrato di black metal, intriso di molteplici sfumature epiche che ci riportano alla mente le cadenze del pagan. Ideale fusione tra Kampfar e Drudkh, con illuminanti passaggi di chitarra dal tenore heavy, dalla consistenza e velocità poi davvero inusuali per il filone. 

L’album alterna interpretazioni corrucciate a digressioni di chitarra intense, in cui i suoni si fanno via via distinguibili, nonostante un contesto tipicamente black. ‘Djävulens eld’ è la preghiera introduttiva di un capitolo che si fa via via più graffiante, ammorbidendosi poi con romantiche parentesi di pura armonia. Ci ristoriamo ad un fuoco in ‘Orcus Labyrint’, melodie folkloriche che riempiono un cuore ferito, in cui l’angoscia lascia posto ad una serena contemplazione. 

Le stagioni che passano, la vita che continua e si rinnova mossa da una forza che ci affascina e che sentiamo ora soffocata dai quotidiani egoismi della società. Un passo lento, scandito da un amore che ha radici profonde, pause dal tatto doom che rapiscono. 

La successiva ‘Monolit’ è un sussurro cupo e cavernoso, spirito che dagli abissi ci parla e lentamente racconta di una storia che ci nutre, alimentando l’anima. Toccante la parte finale interamente acustica, ambientazione che ci ricorda gli Ulver del periodo “Kveldssanger” e che chiude un lavoro che ci tocca profondamente. 

Eld” è il rispetto profondo di una natura che è madre, capace di essere forte, rabbiosa nello scuotersi e consumare, ed allo stesso tempo in grado di nutrirci ed accoglierci. Nessun odio, risentimento, un equilibrio perfetto di sintonie, consequenzialità tra ciò che si spegne e mai realmente scompare, nutrendo e rinnovando ciò che si accende. Un ciclo, meccanismo perfetto che dovremmo limitarci ad osservare ed abbracciare. Troviamo davvero azzeccata l’idea della Nordvis di riproporre un disco passato  nel silenzio nella scena e che merita considerazione.

 

Stefano “Thiess” Santamaria

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