Recensione: Elements

Di Daniele D'Adamo - 2 Aprile 2018 - 11:36
Elements
Band: Caliban
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2018
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
84

A distanza di due anni, puntuali su una tabella di marcia che vede un biennio di separazione fra la pubblicazione di un full-length e quello successivo, i Caliban offrono l’erede dell’eccellente “Gravity” (2016), “Elements”.

Caliban che, forti dell’esperienza derivante da ben undici album compreso questo, hanno ormai assunto – almeno a parere di chi scrive – lo status dell’arte in materia di metalcore, melodic metalcore, nello specifico.

Difatti, ragionando in termini ampi, complessivi, “Elements” altri non è che la naturale prosecuzione di “Gravity”. Del resto, se una ricetta di rivela vincente, perché modificarla nei suoi stessi ingredienti? Soprattutto, se il punto forte della formazione sono i fenomenali ritornelli che, a iosa, rendono davvero piacevole l’ascolto di un sound ormai totalmente consolidato, perché cambiarlo? Sound che, in ogni caso, grazie a una produzione perfetta, è potente anzi potentissimo. Benché i cinquanta minuti di “Elements” offrano una sequenza impareggiabile di refrain da mandare a memoria, i Caliban dimostrano di essere sempre e comunque una formazione dannatamente metal. Addirittura estrema, in certi frangenti, ove la sterminata energia che erutta dagli stop’n’go è assolutamente travolgente, annichilente. Una caratteristica certo non innovativa ma che non deve mancare in un lavoro di metalcore. I breakdown servono per spezzare le ossa, ammorbidite da qualche chorus particolarmente melodico, in modo da rendere palese il segno caratteristico primigenio del metalcore stesso. Cioè, l’antitesi fra brutale aggressività e celestiale armoniosità. Ebbene, si può tranquillamente affermare, senza possibilità di errore, che i Caliban, in questo, siano dei maestri da prendere a esempio come definizione enciclopedica.

Evidente prova di tutto quanto sopra è l’opener-track ‘This Is War’, dall’incipit massacrato addirittura da un attacco al calor bianco pilotato dai blast-beats, trascinata con grande veemenza dalle harsh vocals di Andreas Dörner, coadiuvate da magnifici cori anthemici anch’essi tipici delle strutture *-core, per confluire con estrema naturalezza in un ritornello che si stampa senza pietà nella parte interna della scatola cranica. Il break centrale, aiutato nella sua profondità emotiva dall’elettronica ambient, funge da apripista per i menzionati stop’n’go, stravolgenti. Una canzone che, da sola, riassume in tre minuti i principali dettami stilistici dei Nostri. Dettami che, ovviamente, vengono sviluppati in modi e maniere diverse lungo lo scorrere del platter. Tuttavia, l’insinuante melodia è sempre lì, in agguato, per mettere le ali a song stupende come per esempio “Intoxicated”. Breakdown per sconquassare, melodia per ricucire. Questa, in termini assai sintetici, pare essere il modus compositivo dei tedeschi. La cui classe sia tecnica, sia di songwriting, appare davvero senza fine. Una dopo l’altra, difatti, le tracce scorrono con scioltezza e naturalezza, mantenendosi tutte sullo stesso piano qualitativo, altissimo (‘Ich Blute für Dich’), inarrivabile dalla maggior parte di colleghi che praticano il metalcore ad alto contento di professionalità.

Come da ultime evoluzioni in materia, si può notare, anche, un rilevante irrobustimento del suono grazie all’utilizzo dell’elettronica (‘My Madness’) e delle tastiere (‘Before Later Comes Never’, ‘I Am Fear’) che, nel caso del combo della North Rhine-Westphalia, offre una ghiotta occasione per approfondire la componente sentimentale di uno stile già di per sé eccezionale. E questo, senza scalfire minimamente l’immenso muraglione di suono costruito dall’enorme vigore di Denis Schmidt (chitarra, voce), Marc Görtz (chitarra), Marco Schaller (basso) e Patrick Grün (batteria). Da apprezzare, pure, la poliedricità di un album che pare non avere limiti, ben espressa dal semi-rap di ‘Carry On’ e dei relativi cori femminili, ma anche dall’onirico inizio di ‘Masquerade’, poi devastata dall’impeto di un sound che, davvero, pare non conoscere confinamenti energetici.

In definitiva, un’altra grande prova dei Caliban, magari un po’ simile a “Gravity”, quindi senza grandi elementi innovazione. Forse l’unico punto debole, se così si può dire, dell’opera. Del resto, questi sono i Caliban: prendere o lasciare.

Si consiglia caldamente di prendere.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

 

 

Ultimi album di Caliban

Band: Caliban
Genere: Metalcore 
Anno: 2022
78
Band: Caliban
Genere: Metalcore 
Anno: 2018
84
Band: Caliban
Genere: Metalcore 
Anno: 2016
92
Band: Caliban
Genere: Metalcore 
Anno: 2014
80
Band: Caliban
Genere:
Anno: 2002
68