Recensione: Empiricism

Di Daniele Balestrieri - 14 Marzo 2004 - 0:00
Empiricism
Band: Borknagar
Etichetta:
Genere:
Anno: 2001
Nazione:
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90

Mi ha sempre spaventato l’idea di recensire quest’album: nonostante lo possegga da ormai oltre due anni, ogni volta che mi veniva in mente di recensirlo alla fine abbandonavo l’idea per un motivo o l’altro. Del resto è un album talmente affascinante, complicato, ricco di sfaccettature e variegato che il giudizio è tutt’altro che facile. Ma i problemi non si risolvono di certo fuggendo, e alla fine, armi alla mano, bisogna tentare di “intrappolare” quest’album nei rigori di uno schema.


Chiariamo subito un punto: quest’album è splendido. I Borkagar in sei anni ci hanno regalato cinque album di gran classe, partendo da una specie di viking metal (guardate nel logo e scoprirete un martello di thor) finendo in un blend indefinito e inclassificabile di generi. Parliamo di “black/progressive metal” di alto livello. I continui cambi di line-up hanno visto l’alternarsi membri di grande prestigio, tra bassisti dei Dimmu Borgir, Øystein Brun, l’ottimo Lars Nedland, tastierista dei Solefald e degli Asmegin, e il fantastico Tyr, ex-bassista dei Satyricon ed Emperor. Ovviamente c’è un genio dietro a tutto questo, il neo-acquisito vocalist Vintersorg, una delle voci scandinave più caratteristiche, e frontman dei Vintersorg e dei purtroppo defunti Otyg. Ora, che Vintersorg sia un genio non è un segreto: è riuscito a incanalare con album leggendari tutto lo spirito folk/viking/black della Scandinavia sfornando una gran quantità di lavori validissimi. Tuttavia, a un certo momento della sua carriera, gli deve essere successo qualcosa. Probabilmente preda di visioni o di studi particolarmente approfonditi, il giovane Vintersorg ha dato una svolta incredibile alla sua carriera, chiudendo di netto le porte del folk, sbarazzandosi degli Otyg e cambiando di netto direzione ai suoi Vintersorg, partendo da Cosmic Genesis in poi. Proiettatosi completamente sull’universo, sulla fisica quantistica, sulla dinamica dei fluidi e sul moto delle masse, Vintersorg come un maniaco ha sfornato album allucinanti con tutte le band con le quali è venuto a contatto, continuando senza sosta a predicare teorie universali anche con la band di cui è frontman. Ebbene, con i Borknagar è accaduto esattamente tutto questo. Appena entrato come vocalist, la band si è rigenerata dal precedente, greve Quintessence, e si è proiettata insieme al suo “capitano” nel futuro, nello spazio siderale più distante, per studiare e scoprire le leggi del macrocosmo, dell’equilibrio degli elementi naturali e, forse, alla ricerca di un ente superiore in grado di governare l’intera esistenza.

Sì, sto parlando proprio di “Empiricism” dunque, il cui titolo è già tutto un programma. Attraverso 50 minuti di musica e 10 tracce, vi inoltrerete in un vero e proprio trattato di fisica universale, tra macrocosmo esterno e microcosmo interiore, suonato e arrangiato con la tecnica e la classe dei grandi maestri del black scandinavo. Si decolla immediatamente con il pianoforte di una delle mie tracce preferite, la drammatica “The Genuine Pulse“, che introduce immediatamente una costante di questo album: una specie di organo elettronico che strappa la pelle a ogni nota, e si arrotola, soffoca quasi le veloci chitarre e la velocità black mozzafiato di questa piccola opera, che aggredisce immediatamente con una batteria ciclonica e uno screaming dannatissimo, e carezza poco dopo con cori e controcanti in voce pulita, mentre emergono dalla nebulosa di suoni dei violini, tastiere e assoli di prestigio davvero tutto da gustare. Terminata la minacciosa apetura ci aspetta “Gods of my World“, un piccolo passo verso The Olden Domain, un ritorno agli albori dei Borknagar, come se la prima, tormentata traccia avesse in qualche modo terrorizzato un equilibrio musicale che cerca riparo nel passato, spaventato dal futuro. Niente cambi di tempi in Gods of my World, no, semplicemente ottimo black metal, non troppo veloce, con parti growlate, screamate e pulite come si conviene in un certo tipo di Viking Metal. Ma il suono di chitarre ormai si è evoluto drammaticamente dai primi passi del 97, e lo stesso Vintersorg si accorge che non è possibile tornare indietro, nemmeno con l’emozionante assolo in chitarra acustica/voce pulita che riscalda e purifica l’aria fino alla fine della traccia.

Una pausa effimera, visto che con “The Black Canvas” la band ritorna al crudele black metal di Genuine Pulse e aggiunge la classica melodia “dispari” delle tastiere e delle voci, che si destreggiano creando un ascolto elaborato, conciso ed evolutivo di strati e strati di percezioni, muovendosi in ogni direzione conosciuta, ora con uno screaming sotto un basso tamburellante, ora con un growling accompagnato dalle tastiere, ora con un coro pulito sulle ali di un flusso continuo di chitarre e batterie senza respiro. Canzone, questa Black Canvas, che inizia e termina in medias res, come se non ci fosse dato di conoscerne inizio e fine. E la confusione per fortuna svanisce con la quarta traccia, “Matter and Motion“, che nel suo evolversi puramente strumentale si apre con un paio di minuti di pianoforte (molto ben suonato) intervallato da brevi crepitii, scoppiettii, come un movimento di particelle atomiche che si scontrano, generando poi una specie di crescendo in ottave basse che termina tra rumori di fondo e vibrazioni continue nel possente accordo iniziale di “Soul Sphere“, canzone decisamente progressive dominata dal basso incalzante e dalla calda voce di Vintersorg, che quasi incurante del gran commento musicale inizia a dar fiato a tutte le sue teorie universali, e non c’è chitarra che tenga, o batteria che colpisca il tempo: lui continua per la sua strada, e per quanto il famoso “organo elettronico” o una serie di pianoforti tentino di imbrigliare il suo talento, non c’è verso di giungere a un accordo. Soul Sphere esamina (con una certa prolissità) il microcosmo del subcoscio fino a sfociare nell’organo iniziale di “Inherit the Earth“, che rallenta di botto i tempi e li complica ulteriormente, mentre un Vintersorg quasi “seventies” esercita il suo sofismo (e il suo diaframma) in una bella canzone fatta di interruzioni improvvise, marce possenti, cori eterei e growlate pesanti come bastonate. Canzone complessa, dal testo quasi rivoluzionario, che termina con un growl sfiatato, spossato, che apre i cancelli al capolavoro dell’album, “The Stellar Dome“, la volta celeste, prima di una tripletta di canzoni dai testi devastanti, di una complessità ai limiti della lingua parlata, che proiettano la mente verso dimensioni sconosciute, evocative, epiche, dove Vintersorg ammette di aver visto con i suoi stessi occhi il luogo in cui inizia l’eternità, l’angolo dell’universo in cui la sostanza si aggrega formando le costellazioni, attraversando buchi neri e percependo l’antimateria. Canzone di equilibrio eccezionale, di colpi orchestrali di flauti, di violini, di batterie sferzanti, di chitarre preponderanti, di cori a più livelli, che creano uno schema eccezionale, mai scontato, dove ogni espressione musicale può dire la sua, dai pizzicati di contrabasso alle chitarre acustiche, dagli organi ai flauti.

Così come accade nell’universo, così in Empiricism tanto equilibrio può essere spezzato in una questione di minuti: ecco infatti incalzare “Four Element Syncronicity“, un vero e proprio monumento all’esagerazione di Vintersorg, che tenta di ingannare gli ascoltatori con cori d’apertura quasi epici, ma in realtà possiamo quasi percepirlo con le mani tra i capelli e lo sguardo basso a tentare di spiegarsi la perfetta sincronia dei quattro elementi principali dell’universo, a tentare di raggiungere con la mente i perché dell’universo, della vita, dell’infinito. E tenta con ogni forza, tanto che nulla riesce a stare dietro alle sue liriche, nemmeno l’organo onnipresente. La canzone a livello strumentale va in un senso, il suo cantato segue schemi totalmente diversi, nemmeno si cura delle basi elementari del ritmo, e l’intera canzone diventa un inseguimento di strumenti, che tentano disperatamente di allinearsi alla voce, mentre essa corre lontano, avanti, fino a “Liberated“, in cui evidentemente Vintersorg si libera dal tarlo che l’ha tanto ossessionato nel corso di questo album, tornando a un black quasi canonico, oppressivo, fatto di chitarre e batterie turbinanti, occasionalmente frazionate da un pianoforte malinconico e da intermezzi di voce pulita. Quattro ripetizioni, e il viaggio tormentato dei Borknagar termina cullato da “The View of Everlast“, una ballata lenta, triste, affogata in un pianoforte cadenzato, con una voce strappalacrime, quasi una catarsi, non troppo originale ma sicuramente di grande effetto, specie per chi quest’album è riuscito a viverlo in tutti i possibili livelli creati da Vintersorg, il quale tra l’altro si abbandona in un sospiro spossato a canzone quasi ultimata.

Empiricism è un viaggio attraverso il tutto, una prova musicale impressionante di giovani talenti della musica scandinava, un CD emozionante, pregno di chiavi di lettura, sia musicali che concettuali. I segreti e le finezze abbondano in tutto l’album, come i tre finali di canzone identici, per esempio, o la commovente citazione a una canzone di “Borknagar“. Empiricism è talmente tecnico e fine che non potrà non piacere a un pubblico molto variegato, grazie a continue strizzate d’occhio al prog più complesso, al black più primordiale e in generale a quella nuova wave melodico/concettuale che sta spopolando ultimamente in tutto il nord Europa.

Se avete timore che troppa carne sulla brace faccia troppo fumo, non temete. Ogni strumento è tenuto a bada da musicisti che sono ben lungi dall’essere gli ultimi arrivati, e gli arrangiamenti sono esemplari. Io stesso non sopporto la musica troppo complessa né tantomeno il progressive metal, eppure questo CD mi ha rapito come pochi. Ma attenzione: ci vogliono numerosi ascolti, e molto tempo per riuscire a delineare il grande schema di Empiricism. Se cercate un album easy-listening, da ascoltare mentre studiate, o lavorate, o leggete, lasciate perdere. L’unico modo per rendere omaggio a un lavoro del genere è l’immersione totale e decisa, verso dimensioni ancora inesplorate dalla maggior parte del metal mondiale.


Tracklist:

The Genuine Pulse
Gods Of My World
The Black Canvas
Matter & Motion
Soul Sphere
Inherit The Earth
The Stellar Dome
Four Element Synchronicity
Liberated
The View Of Everlast

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