Recensione: Empty Waters Down the Mist

Di Alessandro Calvi - 7 Novembre 2013 - 9:00
Empty Waters Down the Mist
Band: Ergot
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2013
Nazione:
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A tre anni dal precedente demo “Through the Branches of One Life”, torna a farsi sentire il progetto solista Ergot. Il nuovo demo si intitola “Empty Waters Down the Mist” e, fin dalla copertina, sembra dimostrare una maturità superiore, se non un’attitudine completamente diversa rispetto al predecessore.

In effetti tre anni son tanti. Sufficienti a cambiare una persona. Soprattutto in quegli anni in cui si passa dall’adolescenza all’età adulta. Questo è esattamente quanto sembra essere accaduto a Ergot, che non è solo il monicker del progetto, ma anche il nickname del musicista e cantante autore di tutti i testi e le musiche.
“Empty Waters Down the Mist” si presenta come un concept basato sulla vita per mare, dichiaratamente autobiografico. “Wrecked Away”, dunque, non può che essere aperta dallo sciabordio delle onde, su cui si innesta un lento incedere, molto epico e trionfale, a tratti quasi magniloquente.
Con “In Love We Trust”, invece, si passa direttamente, e violentemente, al genere proposto dalla band: il caro e vecchio black metal. Non siamo dalle parti né del raw oltranzista, con produzione sporca e suoni inascoltabili, né del symphonic, con aperture operistiche e abbondante uso di tastiere e orchestrazioni. Si tratta, piuttosto, di una via di mezzo: una buona produzione affianca scelte classiche, sia nel sound che nel songwriting. Qui e là si odono echi, in particolare, dei Gorgoroth ed è una cosa che, almeno al sottoscritto, non dispiace per nulla, anche se non denota particolare originalità.
Quest’ultima sembra trovarsi tutta concentrata nella successiva “Veils”, che lascia un po’ da parte l’impianto black piuttosto standardizzato, per concedersi qualche deviazione anche grazie a un minimo di elettronica. Indubbiamente si tratta del brano più particolare e personale del lotto, Ergot dovrebbe puntare sul valorizzare le caratteristiche presenti in questa traccia e ampliarle al resto della sua produzione se volesse davvero riuscire a farsi notare nel panorama underground e non.
Con “Opening the Gate of Reality” assistiamo a un parziale passo indietro, di nuovo verso un black metal di stampo piuttosto classico e, per certi versi, stereotipato. Non che questo debba essere del tutto un fatto negativo, molti, infatti, preferiranno questa traccia e “In Love We Trust” a “Veils”, in quanto son pezzi che fanno più appello alla pancia.
La chiusura dell’album è demandata a una bonus track, nella fattispecie alla cover di “Lost Wisdom”. Una scelta apprezzabile, quasi una lettera d’intenti a pubblico e critica per dichiarare apertamente le proprie fonti d’ispirazione. L’esecuzione, però, appare un po’ troppo in stile “cover band”, cioè come se la si cercasse di riprodurre il più fedelmente possibile. In questo modo, però, non si aggiunge nulla al pezzo e tanto varrebbe ascoltarsi l’originale, molto meglio sarebbe stato cercare di personalizzarla il più possibile per trasformare la canzone in qualcosa di nuovo e originale.

Per concludere, questo secondo demo del progetto Ergot si presenta come un album vero e proprio, con tanto di filo conduttore concettuale tra tutte le tracce. L’evoluzione dal precedente “Through the Branches of One Life” è notevole e significativa. Non tutto è ancora perfetto, tutt’altro, ma non si può non apprezzare gli sforzi e la maturazione conseguita in soli tre anni. Le canzoni dimostrano un songwriting e una capacità di arrangiamento superiore, anche se per la maggior parte sono ancora legate a certe soluzioni classiche e standardizzate. Un pezzo in particolare spicca tra gli altri: “Veils” e siamo sicuri che se il progetto Ergot dovesse proseguire sul sentiero aperto da questo brano, ne vedremo davvero delle belle.

Alex “Engash-Krul” Calvi

 

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