Recensione: Empyrée

Di Alessandro Marrone - 30 Aprile 2019 - 8:00
Empyrée
Band: Cénotaphe
Etichetta:
Genere:
Anno: 2019
Nazione:
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72

Elegante e drammatico, al contempo i francesi Cénotaphe riescono a coniugare in poco più di mezz’ora di musica, la ridondanza e la regalità di un’opera poetica d’altri tempi, marcata prima da frenetiche fughe che si mantengono più fedeli ai classici stilemi del black metal tradizionale e dopo da rilassanti aperture epiche che nonostante non vadano mai a dilatare il cronometro riescono però ad accentuare la spessa sfumatura di cui Empyrée è dotato. Prodotto di sole due persone, rispettivamente Fog che si fa carico di tutti gli strumenti e Khaosgott alla voce, questo secondo EP marchiato Cénotaphe, prosegue il discorso intrapreso con Horizons – pubblicato appena lo scorso anno – elevando la consapevolezza di una band che sa bene dove e come vuole indirizzare il proprio sound, costantemente impregnato da un sapore quasi poetico, facilmente identificabile negli scritti del poeta Stéphane Mallarmé.

 

Interamente cantato in lingua francese, Empyrée tiene alta l’attenzione dal primo all’ultimo minuto andando a dispensare episodi più veloci e ruvidi alla bellissima Face Aux Feux D’Un Soleil Porphyré, che mette maggiormente in mostra il lato più introspettivo e tormentato del songwriting stesso. Il brano riesce infatti, senza mai scendere nell’eccesso in termini di minutaggio o di utilizzo di strumenti adatti a inspessire il background, nell’impresa di caratterizzare di epico un lavoro che sin dalla stessa copertina vuole trasmettere all’ascoltatore quanto ogni singola nota sia stata ragionata e non semplicemente gettata nella mischia. A dimostrazione del carico epico di cui si fa possesso l’EP troviamo infatti un estratto dell’opera “In The Dust Cloud” del pittore simbolista polacco Jacek Malczewski, datato 1893, il quale simboleggia (per voler riassumere in maniera piuttosto grezza e coincisa) una confusionaria battaglia ultraterrena, arrivata a protrarsi in un mondo già di suo ossessionato ed emotivamente cianotico (vedi la fitta schiera di alberi lividi sullo sfondo).

 

Il side B del disco, qualora abbiate modo di ascoltare la versione vinile, non è per nulla più scontato del lato A, perché dopo un paio di brani che tornano su binari più veloci e grezzi, troviamo la cover strumentale di End Of The World, originariamente scritta dagli Aphrodite’s Child, un pezzo lontano da queste sonorità, ma che nella sua malinconica e rassegnata essenza trova perfettamente posto e chiude l’EP mettendo insieme la doppia natura dei Cénotaphe, in grado di passare da frenetiche sfuriate sostenute da una potente base strumentale, a passaggi più ragionati, ideali per mostrare il lato più atmosferico del duo francese. La direzione è senza dubbio quella giusta, non vedo l’ora di poter aver tra le mani qualcosa di più articolato e poter realmente apprezzare appieno una realtà che può dire parecchio in un genere che fa delle sue infinite possibilità e tematiche, un vero ponte per territori ancora da esplorare.   

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