Recensione: End Of All Days

Di Abbadon - 16 Luglio 2002 - 0:00
End Of All Days
Band: Rage
Etichetta:
Genere:
Anno: 1996
Nazione:
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90

Pubblicato nel 1996, “End of all Days ” doveva essere il seguito e il simbolo, assieme all’insuperato “Lingua Mortis” e al capostipite “Black In Mind”, del nuovo stile power che i Rage avevano intrapreso nella loro ormai (ai tempi) quindicennale carriera. L’album riesce in pieno nell’intento, e segna, assieme ai due titoli già citati prima, il picco massimo della carriera di Peavy Wagner, prima della crisi dovuta all’abbandono di gran parte dei membri del gruppo, del nuovo reclutamento, del cambio di stile che si riscontra ad esempio in Ghosts (sicuramente più leggero e meno orecchiabile rispetto agli album del biennio 95/96) , e solo della recente ripresa con “Unity”.

Dunque :  End of All Days è caratterizzato innanzitutto, come anche dagli altri album dei Rage, da un elevato numero di tracce, ben 14, che prese singolarmente lasciano denotare dei temi diversi tra di loro, con il filo conduttore della sonorità, un bel power potente e scorrevole, nonché veloce (quasi a livello di speed metal), caratterizzato da una grande ritmica, che viene resa palesemente evidente dalla batteria, che seppur ripeta quasi sempre la stessa sequenza di percussioni durante ogni canzone (assoli esclusi), raggiunge a tratti una velocità veramente vertiginosa. Inoltre viene data notevole importanza alla chitarra ritmica, che suona su scale basse ma a una velocità roboante per tutta la durata dei brani, inclusi assoli, dove si mette in evidenza anche la chitarra acustica, che invece esegue velocissime scale e intreccia la sua trama con in resto degli strumenti fino ad ora citati, che durante le parti “comuni” di ogni traccia prendono il sopravvento sull’acustica stessa, che rimane solo “sullo sfondo”. Non si sente moltissimo invece il basso, che ogni tanto fa la sua comparsa ma rimane per lo più in disparte. Trainati in sostanza da batteria e chitarra premiamo play e si parte subito con “under control”, che ha una intro subito aggressiva e che non si separa di netto dal resto del brano, ma indica subito come sarà il pezzo, molto aggressivo, rapido e rabbioso, seppur dotato di buona tecnica e anche molto orecchiabile. Segue subito uno dei pezzi più belli del Cd, “Higher Then the Sky”, che ha una intro molto lenta e bassa, seguita da una sfuriata di chitarra e ancora da una bella melodia (dove si sente un po’ di basso) sfociante in un ritornello dove si alza notevolmente il tono vocale di Peavy e si alza pure la scala suonata dagli strumenti, rendendo il tutto molto molto coinvolgente. Terza viene “Deep in the Darkest hour”, che risulta molto differente dalle due precedenti, meno veloce e sicuramente meno esplosiva, ma forse più evocativa, grazie alla chitarra di sottofondo suonata abbastanza lenta e rievocante ambienti quantomeno “misteriori” e di atmosfera. La canzone si interrompe con un troncamento e non in fade e lascia spazio alla Title Track, ovvero End of All Days, sicuramente il pezzo migliore della compilation e, a mio parere, uno dei migliori in assoluto della band. L’intro lascia subito tutto capire come è il pezzo, esplosivo, veloce, non particolarmente cattivo, ma che da una gran dose di carica a chi lo ascolta. Si sentono benissimo le due chitarre (presente anche un assolo spettacolare in quanto a coinvolgimento, anche se tecnicamente c’è di meglio), la batteria rulla meno che in un under control, ma si fa sentire, e si sente discretamente anche il basso. Segue un terzetto di canzoni non veloci ma cariche di rabbia, emozioni e soprattutto pathos come Vision, pezzo abbastanza particolare, in quanto lento e molto scandito nelle note durante le strofe e abbastanza tagliente e violento (parlando nell’album dell’album) nei ritornelli e nell’assolo, la bella “Desperation”, molto lenta evocativa e piacevole, ma che ogni tanto subisce una pesante scarica strumentale, sempre lenta ma incisiva, e infine “Voice from the Vault”, che e una canzone dove viene messa appieno la forza delle chitarre Rage, e si nota forte aggressività anche nella voce di Peavy, che nel ritornello assume un timbro più pulito e un tono “invocativo”. Dopo il terzetto sopraccitato si arriva a un pezzo completamente diverso dai precedenti. Partenza di basso, con accenni di chitarra elettrica lenta, poi una scarica sulle pelli della batteria, e si da il via a un pezzo veloce, ritmato e molto allegro e vivace “Let the Night Begin”, che presenta un ritornello che quasi invoglia a ballarlo. Nono pezzo di “End of all Days” è “fortess”, canzone dalla melodia lenta, non particolarmente enfatizzata ma con una melodia eccellente, che a me infonde pensieri tristi e quasi medievaleggianti, come se l’autore dovesse sfogare con questa canzone anziché con un pianto le sue emozioni.

Suo malgrado, dopo fortess segue forse il pezzo più brutto del seguito di Lingua Mortis, ovvero “Frozen Fire”.

Non che il pezzo sia da buttare via, anzi se preso singolarmente molto bello, strumentalmente potente, non velocissimo, cattivo, però sul piano della musicalità e del ritmo forse non c’entra moltissimo col resto della compilation (ci sono delle voci distorte che sembrano quelle di qualche brano dei Mercyful e di band simili che secondo me peccano da questo punto di vista). Invece spettacolare e godibilissima è la successiva “Talking to the Dead”, che parte con una buone dose di cattiveria strumentale, lasciando poi spazio a una pregevolissima melodia di chitarra acustica, non veloce ma veramente azzeccata come scelta di tonalità , note e scala. Molto bella anche la lirica, che in questo album appunto come detto all’inizio tratta argomenti diversi da pezzo a pezzo, ma nel complesso e molto carina e coinvolgente. Terzultima viene “Face Behind the Mask”, una canzone tutto sommato godibile, sebbene all’inizio non mi piaccia molto, man mano che va avanti si rifà in pieno. La velocità con la quale viene suonata la canzone è nel complesso molto alta, e sebbene vengano usati suoni anche molto più acuti rispetto a quelli della media del CD, si integrano alla perfezione in questo complesso. Inoltre il ritornello è tra i più coinvolgenti in assoluto, e come per “Let the Night Begin”, quasi viene la tenzazione di ballarlo. Penultima è “Silent Victory”, che sebbene non triste è carica di pathos, molto singolare per quanto riguarda la ritmica, e sentendola personalmente la associo come contenuti a Fortess, dovessi dire un altro pezzo di questo “End off all Days”, ormai quasi giunto alla fine. Manca infatti una sola Canzone, “Fading Hours”, caratterizzato da una intro di tastiera, unico nell’album, e da un tono lento e quasi triste. La voce è molto evocativa, carica di emozione, il che dà un tocco alla eccezionale melodia che viene presentata, pienamente adatta a finire questo album, come già detto a mio avviso secondo solo a Lingua Mortis e a un lancio di moneta con Black in Mind per essere il secondo miglior album di una delle band storiche del power e in genere del metal tedesco e internazionale, che se avesse sfornato sempre fatiche di questa fattura, anziché mettersi sempre in gioco (fatto che però dà idea del coraggio della band, che ha avuto successi con CD magari completamente diversi fra loro) forse sarebbe stata ancora più grande di quello che è adesso.

Quindi il voto, considerando velocità, esplosività, carico emozionale e ritmica, è un bel 90, che sarebbe stato superato in scioltezza se solo alcuni pezzi fossero stati un pelo più articolati. Ma va comunque benissimo così.

TrackList :

  1. Under Control
  2. Higher than the sky
  3. Deep in the Blackest hole
  4. End of all days
  5. Vision
  6. Desperation
  7. Voice from the Vault
  8. Let the Night Begin
  9. Fortress
  10. Frozen Fire
  11. Talking to the dead
  12. Face Behind the Mask
  13. Silent Victory
  14. Fading Hours

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