Recensione: Endless

Di Giuseppe Casafina - 8 Agosto 2015 - 15:51
Endless
Band: Mount Salem
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2013
Nazione:
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72

Eccoci al cospetto di un altro disco certamente non recentissimo (la cui uscita risale addirittura al 2013) ma di cui vale certamente la pensa considerare la presenza all’interno del nostro database vale a dire “Endless”, esordio discografico degli statunitensi Mount Salem.

La ragione che mi spinge a fare ciò è, come sempre ho finora fatto e come sempre farò, il voler rendere giustizia a tante band ed album che, come questo, non hanno goduto da parte della critica specializzata dell’attenzione che meritavano, dando così la mia personale voce al motto “meglio tardi che mai”.
Ma “tardi” è, nel caso dei Mount Salem, un aggettivo decisamente fuori luogo dato che la formazione è giovanissima e “Endless” si rivela, già dopo pochi ascolti, come un lavoro di certo non rivoluzionario ma decisamente sentito ed ispirato lungo le sue otto tracce che brillano della luce ardente della psichedelica più arcana.

Otto pezzi dove i Nostri di dedicano ad un proto-Doom invero piuttosto canonico, ma affrontato con lo spirito giusto e, perché no, la giusta produzione: impossibile infatti resistere al fascino seventies e fuzzy di un pezzo come “Lucid” (da cui è stato tratto anche un video), un pezzo che nella sua atonale pentatonicità riesce a convincerci nello schiacciare nuovamente il tasto “Repeat”, condannandoci ad un forsennato looping musicale….
Oppure basti pensare alla meravigliosa suite in due episodi (nulla di particolarmente lungo e progressivo, la coppia viaggia attorno ai 6 minuti) di “Mescaline/Mescaline II”, in grado di far chiudere gli occhi all’ascoltatore per trainarlo in un viaggio dei sensi facendolo preda di un suono che sembrava ormai racchiuso entro confini temporali ormai lontani e definiti, forse per alcuni anche superati.

La band ispiratrice dell’ensemble ovviamente è come sempre i sempiterni Black Sabbath, ma la materia viene plasmata con un taglio particolarmente fumoso che trae ispirazione dalla tradizione del miglior rock americano d’annata, tra chitarre riverberate e tremoli tipici del rockabilly: un sound quindi ai limiti per l’ascoltatore medio di heavy metal quindi, ma che sicuramente ha la sua cospicua dose di fascino per attrarlo e far si che possa metabolizzare quello scorrere musicale fluido che è l’essenza stessa della musica da lui (e da noi) tanto amata.

Certo ci sono dei difetti, come ad esempio la performance non sempre impeccabile della cantante Emily Kopplin, non tanto per le parti acute a volte un po’ troppo sforzate (da intendersi come piccole stonature) quanto per le melodie portanti e certe soluzioni vocali, melodie e soluzioni che appunto tendono ad assomigliarsi un po’ troppo tra loro lungo lo scorrere del platter, ma tutto sommato data la giovinezza dell’ensemble direi che per ora si potrebbe anche sorvolare.

Nulla da eccepire dal lato puramente strumentale, ognuno fa bene il suo lavoro sia nelle parti più tirate (da non confondersi con gli Slayer, è pur sempre un genere settantiano!) che in quelle più rilassate e psichedeliche, i brani sono vari e ci mostrano un operato strumentistico omogeneamente sensato ed ispirato che si sparge lungo tutto il disco, nonostante il non ispiratissimo Sabba finale di “The End”, brano che personalmente reputo portato sulle lunghe in maniera piuttosto forzata e che riprende i concetti chiave della band non aggiungendoci nulla di interessante rispetto agli episodi a lui precedenti.

Sarò forse troppo buono, ma questo disco ha comunque un suo fascino e pertanto sento di voler premiare con una certa stima l’operato di questi quattro simpatici musicisti a stelle e strisce e, seppur mantenendo allo stesso tempo un certo grado di imparzialità (altrimenti i dischi non li recensirei), non posso esimermi dall’aver riscontrato un certo personale entusiasmo in alcuni momenti del disco.
Per tale ragione, concludo la sentenza con un cordiale 72 dettato da stima ragionata oltre il canonico 70 di rito, ma alla prossima attendo un lavoro più personale e smussato, oltre che vocalmente più vario e ragionato, altrimenti la stima passerà oltre.
NOTA: Pessima è l’idea di non includere alcun booklet nell’edizione standard del disco contenente testi ed info, ma in vendita esiste anche un’edizione riveduta e corretta denominata “Tour-Edition” che spero avrà ovviato a tale (per me) imperdonabile mancanza.

Giuseppe “Maelstrom” Casafina

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