Recensione: Enforce Evolve

Di Silvia Graziola - 5 Marzo 2007 - 0:00
Enforce Evolve
Band: Prophexy
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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80

È il 1999 nei pressi di Bologna quando Matteo Bonazza e Alfredo Albanese, reduci da una band di nome Shadestorm, assoldano Davide Lotti e Stefano Vaccari per dare vita ad un ambizioso progetto prog metal, i Prophecy. Un demo registrato con mezzi propri ed il successo del singolo There In The Black Wood, raccolgono i primi consensi, facendo saltare il singolo in vetta alla classifica dei brani più scaricati su Vitaminic, il noto portale dedicato alla musica dei gruppi emergenti.
Nel 2001, sempre grazie a mezzi propri, viene incisa la demo di tre pezzi dal titolo The Distance Behind, che smuove i primi interessamenti da parte di un’etichetta discografica straniera e, nello stesso anno la band partecipa ad alcuni festival come l’Addicted To Chaos a Bologna e l’Italian Metal Alliance a Milano, un’alleanza tra gruppi metal italiani ideata dallo stesso Bonazza, a fianco di band come White Skull, Skylark, SKW. Dopo numerosi cambi di formazione ed un leggero cambiamento del nome in Prophexy, il 2003 porta con sé Enforce Evolve, i l primo full length del gruppo, anch’esso autoprodotto.
Musicalmente molto preparati e con un’età media sorprendentemente bassa, i Prophexy propongono un prog metal di stampo math particolarmente elaborato e raffinato, che li avvicina per attitudine a band come Zero Hour e Spiral Architect, mantenendo però una forte personalità ed una loro impronta caratteristica..

A Synthowomb, con i sui cinque minuti nervosi e sincopati, spetta il compito di rompere il ghiaccio, esibendo in primo piano l’importante lavoro delle chitarre di Mauro Minelli e di Davide Cotti, che s’intrecciano, si fondono e si distaccano l’una dall’altra, contendendosi gli assoli e tossendo i riff ossessivi e ripetuti tanto cari agli Zero Hour, assieme alle evidenti linee di basso di Alessandro Valle che emerge dalla mischia sonora. Gli scenari sono quelli di un inquietante futuro, fatto di testi scarni ed ermetici, dove la prova vocale di Matteo Bonazza riesce ad essere la giusta via di mezzo tra tecnica ed espressività, aiutato da una padronanza invidiabile della lingua inglese, che talvolta fa difetto nelle band nostrane.
Il viaggio continua con la psichedelica di Pi, con le sue elucubrazioni sulla matematica e la bellissima Humanicity, con il suo ritornello trascinante e dal titolo curioso, probabile crasi delle parole “umanità” (humanity) e “città” (city), dai testi particolarmente minimali e malinconici che parlano dell’incarcerazione dell’uomo nella gabbia dei luoghi comuni, della cosiddetta “umanità” che lo trasforma in “un nonsenso in un non-mondo”.
Babba ha il sapore orientale sia nei testi, sia nella musica, grazie alla presenza del Didgeridoo (o Didjeridoo), l’antico strumento a fiato usato dagli aborigeni australiani, del flauto traverso di Alessandro Valle e delle percussioni di Stefano Vaccari. Il brano introdotto ha una struttura particolarmente articolata ed eterogenea, caratterizzata da numerosi cambi di tempo, di ritmo e di scena che riescono a coesistere con sorprendente naturalezza, senza rendere legnoso lo scorrimento della canzone, mentre il brano termina e vive una seconda vita con Babba’s Descent (o Babba’s Progeny), la sua energica continuazione, con il basso in prima linea di Valle, accompagnato dalle strutture ritmiche che ricordano gli Spiral Architect .
House è un’attenta e delicata immagine della vita che si trascorre all’interno della propria casa e dai piccoli e grandi eventi che avvengono in essa, a cui magari si dà poca importanza, mentre Let The Children Come To Me è un brano trascinante, quasi “immediato” grazie al suo ritornello energico che la rende una di quelle canzoni che piacciono sin dal primo ascolto. La storia del rapimento di un bambino è raccontata attraverso riff decisamente heavy, che danno un piacevole contrasto con gli acuti di Bonazza, usando gli slide cari agli Zero Hour di The Tower Of Avarice, mentre gli assoli di chitarra sincopati danno una fuggevole visione sull’assolo di chitarra del famoso brano dei Dream Theater Metropolis Pt.1 nell’album Images And Words.
Last Letter, il brano forse più “tranquillo” dell’album e Terminal Sorrow con i suoi effetti elettronici misti a riff pesanti di chitarra, portano in scena l’ultima traccia del disco, Sdrenoid, una vera e propria follia sotto forma di testi e musica. Se le parole sembrano uscite da una poesia dei futuristi, dove si parla con la stessa disinvoltura di musica, matematica, animali, auto distruzione del disco che si sta ascoltando in italiano, inglese e francese, la musica non è da meno: vorticosamente si insinua in ogni luogo, ora calma, arpeggiata, ora violenta e sincopata, ora riff pesanti, ora assoli furiosi e rapidissimi, il tutto volutamente sconnesso e suggerisce di non perdere di vista questa band.

Non è finita qui.
La notizia ancora più ghiotta è che è possibile scaricare interamente e gratuitamente sia Enforce Evolve, sia altri lavori dei Prophexy dalla sezione “download“ del loro sito ufficiale, prophexy.com.

Silvia “VentoGrigio” Graziola

Lineup:

Mauro Minelli: Chitarra
Matteo Bonazza: Voce, Tastiere
Davide Cotti: Chitarra
Alessandro Valle: Basso, Flauto
Stefano Vaccari: Batteria

Tracklist:

01 – Synthowomb
02 – Pi
03 – Humanicity
04 – Babba
05 – Babba’s Progeny (Descent)
06 – House
07 – Let The Children Come To Me
08 – Last Letter
09 – Terminal Sorrow
10 – Sdrenoid

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