Recensione: Enter Deception

Di Gaetano Loffredo - 7 Luglio 2006 - 0:00
Enter Deception
Band: Cellador
Etichetta:
Genere:
Anno: 2006
Nazione:
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55

Finalmente ci siamo. Se ne sentiva quasi il “profumo” nell’aria. Di chi o di cosa? Ma della prima band-clone ufficiale dei Dragonforce, no?
Bene, detto questo metà di voi saranno tornati in home page, l’altra metà, invece, è formata in piccola percentuale da curiosi e la stragrande maggioranza da sostenitori incalliti degli extreme power metallers inglesi: etichetta azzeccata se si collega ad “estrema” la parola “velocità” anche perché, oltre a questo, di estremo non c’è nulla.

Estate 2004, il chitarrista dei Cellador, Chris Petersen, colpito e affondato dalle postazioni missilistiche implementate nei dischi dei cugini britannici, recluta quattro ragazzetti che vanno dai diciassette ai ventitré anni e si rinchiude una manciata di mesi all’interno di un rifugio anti-nucleare alla ricerca delle composizioni necessarie che gli permettano di pareggiare le prestazioni anglicane.
Il primo demo, “Leaving All Behind” vede la luce a maggio 2005 e la Metal Blade si convince a metterli sotto contratto spingendoli, oltretutto, sui palchi europei di supporto a The Black Dalia Murder, Kreator, Vader, Behemoth, Fear Before the March of Flames, Paria e Sonata Arctica.

Il sound dei Cellador è in piccola parte influenzato dalla scuola power americana grazie al sostanziale apporto del leader Chris Petersen (Nebraska) e ha nel suo insieme, una formazione multi etnica  con l’altro chitarrista, Bill Hudson, brasiliano, ed il bassista russo Valentin Rakhmanov. La formazione è completata dal batterista a stelle e strisce David Dahir e dal vocalist Gremio.

Partiamo da quest’ultimo che, nel complesso, non convince sull’album di debutto intitolato Enter Deception. L’impostazione vocale è una commemorazione delle prove di Timo Kotipelto (Stratovarius) e le relative linee si ripetono dalla prima all’ultima canzone come se stesse cantando sempre la stessa. Insomma, non un grande sforzo per eccellere sul microfono.
La batteria, è in assoluto, lo strumento che influenza maggiormente l’apparato musicale costruito dai Cellador. Si sprecano le confuse sfuriate su Leaving All Behind o Forever Unbound, e le stesse devastanti ed improvvise accelerazioni inficiano brani quali Awakening (che avrei lodato senza questo “piccolo” particolare) e Releasing the Shadow, comunque epica e dotata di ottimi spunti dettati dalla doppia ascia.
Si salvano l’opener, A Sign far Beyond che ricorda (da lontano) gli Helloween di Walls of Jericho e l’ultima, No Chances Lost nonostante l’incredibile somiglianza con i (migliori) brani di Sonic Firestorm dei soliti Dragonforce.

Enter Deception convincerà i sostenitori di quel sotto-genere non convenzionale che, sta spopolando in Inghilterra e che, potenzialmente, vedrà la nascita di una quantità esagerata di gruppi clone. Un po’ come successe in Italia e in Europa con l’avvento (1997) dei nostri Rhapsody.
I Cellador sono i primi che ci provano spudoratamente e, se non fosse per il timbro vocale di Gremio che si differenzia (e non di poco) da quello di ZP Theart, il plagio sarebbe completato a dovere.
Ribadisco: coloro che adorano i ragazzi inglesi si lancino ad occhi chiusi su questo Enter Deception, tutti gli altri (me compreso), ne stiano debitamente lontani. Il power metal, è altra cosa.

Gaetano “Knightrider” Loffredo
 

Tracklist:
1.A Sign far Beyond
2.Leaving all Behind
3.Never Again
4.Forever Unbound
5.Seen Through Time
6.Wakening
7.Releasing the Shadow
8.No Chances Lost

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