Recensione: Escalator

Di Fabio Vellata - 11 Settembre 2009 - 0:00
Escalator
Band: Jerusalem
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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77

In un’ipotetica raccolta dedicata ai Guinness dei primati del rock e del metal, con tutta probabilità comparirebbero a pieno titolo anche i britannici Jerusalem.

Fondati nel corso del 1971 per mano del singer Lynden Williams e dei chitarristi Bob Cooke e Bill Hinde, i Jerusalem offrirono testimonianza della loro esistenza tramite la pubblicazione di un unico album omonimo edito esattamente l’anno successivo. Un disco decisamente peculiare, nato sotto la supervisione di un personaggio di spicco e fama mondiale come Ian Gillan, storico e leggendario frontman dei conterranei Deep Purple.
Descritto come il “più ruvido, selvaggio, pulsante e ferale album dell’epoca”, il platter consentì al gruppo di condividere il palco con calibri di notevole spessore per quegli anni, quali Supertramp, Mott The Hoople, Curved Air ed Humble Pie. Una gioia tuttavia effimera, destinata a spegnersi dopo breve con lo scioglimento del sodalizio e fiaccata nelle successive ipotesi di reunion dalla morte – avvenuta nel 1975 in un incidente stradale – di Bill Hinde, uno dei tre mastermind del progetto.
Un destino beffardo che consegnò la band allo status di cult per collezionisti, confinandone il nome alle fredde cronache musicali del periodo.

È dunque con una certa sorpresa trovare, nel corso del 2009, l’accoppiata Williams / Cooke alle prese con l’uscita del secondo capitolo della loro creatura, rimasta in soffitta per 38 lunghissimi anni e riscoperta tempo fa, solo grazie ad una reissue curata della divisione giapponese della Universal.
Un record assoluto insomma. Quasi quarant’anni a distanziare il primo album dal secondo è, in effetti, qualcosa d’inusuale – se non unico – nella storia della musica.

La coppia di artisti non sembra tuttavia preoccuparsi più di tanto degli aspetti anagrafici e lancia la sfida ad un mercato molto più saturo di un tempo con determinazione e soprattutto, coerenza.
“Escalator” è, infatti, un disco che sa d’antico. Uno spaccato di musica composta alla maniera del prog hard rock di tantissimi anni fa che però non odora di muffa o si presenta come semplice appannaggio degli archeologi di primizie settantiane.
Lo conferma la qualità degli ospiti coinvolti: Nick D’Virgilio alla batteria e Dave Meros al basso, entrambi degli Spock’s Beard e Geoff Downes, pluridecorato tastierista di Yes ed Asia, sono una garanzia definitiva e credibile sulla bontà d’intenti e lo spessore effettivo delle composizioni. E lo sostiene in uguale misura, anche il valore dei suoni, organizzati in una produzione che, pur conferendo un respiro “vintage” ai brani, non tradisce il piacere di un ascolto appagante e ben definito.
Nulla da eccepire inoltre, sulla confezione del disco, presentato in un delizioso formato digipack su cui campeggia una cover in stile fantasy alquanto raffinata ed evocativa.

Incentrate su storie di morte, orrore e paura, le canzoni si arricchiscono di un fascino ancestrale che, in alcuni frangenti, sfocia in risultati del tutto notevoli. È il caso delle movimentate “Hooded Eagle” e “Kamikaze Moth”, tracce in cui emerge il notevole chitarrismo di Cooke, capace di caratterizzare le melodie portanti con un tocco molto personale.
L’ascolto poi, delle affascinanti ed orrorifiche “The Void” (dall’originalissimo attacco reggae), “Spiders Rendezvous” e “When The Wolf Sits” chiarisce in via definitiva la statura dei Jerusalem, sottolineata dalla voce declamatoria e sicura di Williams, dalla sei corde di Cooke e dalle tastiere del sempre impeccabile Downes, concentrati in una amalgama sonora – cui non mancano di certo le ottime performance di D’Virgilio e Meros – in cui sono comunque le singolari e sulfuree atmosfere a recitare la parte del protagonista principale.
Menzione poi, per la cover di “Stone Free” del grande Hendrix, trait d’union tra il presente ed il passato, che suggella il buon ritorno sulle scene della band di Salisbury.

Descritti come un incrocio tra Uriah Heep e Deep Purple in versione più prog, i Jerusalem mostrano un campionario di tutto rispetto ed una serie di aspetti peculiari tali da rendere difficile qualsiasi paragone.
Molto hard rock nell’approccio, prog nella struttura di alcuni brani e doom nello spirito, la proposta del gruppo britannico non appare affatto scarsa di qualità e lascia un pizzico di rammarico per il tanto tempo trascorso nel limbo.

Williams e Cooke ne sembrano consapevoli. Il terzo capitolo è, infatti, già in via di preparazione e promette di non farsi attendere altri quarant’anni.

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Tracklist:

01.    Hooded Eagle
02.    Midnight Steamer
03.    Stone Free
04.    Over The Chasm
05.    Mamikaze Moth
06.    The Void
07.    Banging All Night Long
08.    Spiders’ Rendezvous
09.    Faith Healer
10.    When The Wolf Sits

Line Up:

Lynden Williams – Voce
Robert Cooke – Chitarra
Geoff Downes – Tastiere
Dave Meros – Basso
Nick D’Virgilio – Batteria
 

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