Recensione: Evolution

Di Alberto Biffi - 20 Novembre 2011 - 0:00
Evolution

Il nome “Magnum” evocherà, tra i più giovani di voi, un famoso gelato ultra pubblicizzato, agli over 30 o semplicemente ai cinefili incalliti, riporterà alla mente le imprese di un inflessibile Clint Eastwood, che nei panni dell’ispettore Callaghan brandiva la sua inseparabile pistola per sconfiggere il crimine.
Nonostante la pellicola sopra-citata non sia certo scevra da contatti con il mondo del rock (aiutò a lanciare la band delle “rose e pistole”, presente con il brano “Welcome To The Jungle” e in un paio di riprese del film “Scommessa con la morte”), siamo qui per occuparci della compilation che vede protagonisti quei Magnum formatisi a Birmingham nel 1972.

Nati come four piece con Tony Clarkin alla chitarra, Bob Catley alla voce, Kex Gorin alla batteria e Bob Doyle al basso, la band ottiene subito il favore del pubblico e della critica, con la sua piacevolissima proposta a base di hard rock melodico e progressive tipicamente inglese, con uno spiccatissimo senso della melodia, del ritornello ficcante e dell’arrangiamento azzeccato e di gran classe.
Il dischetto ottico che ci troviamo tra le mani è in realtà una di quelle classiche operazioni commerciali che normalmente ci farebbero storcere il naso.
Ma forse questo non è un caso normale.

Mi spiego meglio.
“Evolution” altro non è che una sorta di “Best Of” del periodo SPV/STEAMHAMMER, la loro attuale etichetta, la quale battendo il ferro finché è caldo (sulla scia dei responsi entusiastici dell’ultimo “The Visitation”), pubblica questo prodotto in cui la band risuona e re-incide brani già pubblicati precedentemente (dal 2002 ad oggi).
Estratti da “Breath Of Life” (2002), “Brand New Morning” (2004), “Princess Alice And The Broken Arrow” (2007), “Into The Valley Of The Moonking” (2009) e “The Visitation” (2011), ci allietano con la classe a cui questo fenomenale gruppo ci ha ormai abituati – facendoci dimenticare che si tratta in realtà di una “zuppa riscaldata” – per coinvolgerci ed appagare la nostra voglia di ottimi suoni, refrain memorabili e mai stucchevoli, con esecuzioni mirabili da parte di tutti i musicisti coinvolti.
Per chi conosce i Magnum, nessuna sorpresa, se non il (ri)trovare dei brani che in queste nuove vesti acquistano maggior vigore, vuoi per il drumming decisamente più incisivo (“When We Were Younger”), vuoi per un’interpretazione maggiormente ispirata di Clarkin e/o Catley.
Citiamo la bellissima e ultra-keyboards oriented “Brand New Moring”, con dei suoni splendidi e un  intenzione decisamente più hard rispetto alla versione originale, ancora una splendida  “Immigrant Son”, dove Catley ci insegna quanto il carisma e l’identità vocale di un cantante facciano la differenza.

Se le canzoni di una band, per una sorta di magia cambiassero e migliorassero semplicemente con il passare del tempo, alla stregua di un buon vino, la splendidamente ottantiana “All My Bridges” (2009) sembrerebbe una versione finemente invecchiata di un brano tratto da “Slippery When Wet”.
Bellissima e divertente “Blood On Your Barbed Wire Thorns”, una sorta di ibrido tra gli AC/DC ed i Cult periodo “Electric”, con uno sfavillante Catley che canta in una tonalità tanto cara a Ian Atsbury, arrivando quasi bonariamente a plagiarlo nello splendido ritornello, per poi giungere al bridge dove tutta la straripante ed incontenibile personalità dei Magnum emerge sommergendo ogni influenza.

Dopo due tracce tratte dall’ultimo “The Visitation” (e lasciate ovviamente vergini ed inviolate) arriviamo ai due inediti ai quali spetta l’arduo compito di chiudere questa piacevole compilation.
Per nulla intimoriti dai dieci illustri predecessori, i due brani ci lasciano in bocca quel piacevole sapore di novità e freschezza, senza farci sospettare ne pensare nemmeno per un istante che siano delle semplici outtakes dell’ultimo ottimo e pluri-citato lavoro.
“The Fall”, forse esageratamente happy con il suo riff di chitarra, è un brano che comunque conferma i Magnum come una band di caratura superiore, per concludere con una intensissima (ma forse con un paio di minuti di troppo) “Do You Know Who You Are”.

Unici personali appunti per questo CD, sono forse (e stranamente visto il genere) il volume della voce mixato troppo basso rispetto agli altri strumenti ed un eccessiva prolissità dei brani, i quali se oltre che essere “rivitalizzati” fossero stati asciugati e “snelliti”, avrebbero acquisito ancora più appeal ed energia.

Cosa dicevamo a proposito delle operazioni commerciali qualche riga sopra?
Questa sorta di “Best Of”, di sicuro rientra tra queste, ma se mi è permesso sbilanciarmi…se i risultati sono questi…ben vengano!
Stra-consigliato a tutti gli amanti dei Magnum, a coloro che li hanno sempre seguiti, ai novelli fan che li hanno scoperti con l’ultimo disco e…perchè no….anche ai metallari più “true” ed intransigenti, i quali scopriranno degli splendidi cristalli preziosi, che se puliti e lucidati a dovere, possono  trasformarsi in splendidi diamanti.

Discutine sul forum nel topic dedicato ai Magnum!

Tracklist:

01.    That Holy Touch
02.    Just Like January
03.    Brand New Morning
04.    Immigrant Son
05.    When We Were Younger
06.    Out Of The Shadows
07.    All My Bridges
08.    Blood On Your Barbed Wire Thorns
09.    The Visitation
10.    Wild Angels
11.    The Fall
12.    Do You Know Who You Are?

Line Up:

Tony Clarkin – chitarre
Bob Catley – voci
Mark Stanway – tastiere
Al Barrow – basso
Harry James – batteria