Recensione: Eye Of The Soundscape

Di Lorenzo Maresca - 27 Ottobre 2016 - 10:00
Eye Of The Soundscape
Band: Riverside
Etichetta:
Genere: Progressive 
Anno: 2016
Nazione:
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78

Per dare una prima idea di cos’è Eye Of The Soundscape potremmo definirlo un disco di transizione, un album che chiude una parte della carriera dei Riverside per inaugurare una fase nuova, che forse nemmeno la stessa band sa a cosa porterà. Un cambio di direzione dettato dagli eventi ma non solo: nel febbraio del 2016 è arrivata la notizia, totalmente inaspettata, della morte del chitarrista e membro fondatore Piotr Grudziński per un arresto cardiaco. Nessuno sapeva bene cosa aspettarsi finché, alcuni mesi dopo, la band polacca ha comunicato di aver preso la coraggiosa decisione di non sostituire Piotr e di restare quindi un trio.

Il primo lavoro dei nuovi Riverside è molto diverso dai precedenti, e forse resterà un capitolo a se stante nella loro discografia: un doppio album strumentale (fatta eccezione per qualche timido vocalizzo) che si inserisce a pieno titolo nell’ambient e nell’elettronica. Bisogna precisare subito che Eye Of The Soundscape non va considerato come il tentativo di tirare avanti di una band rimasta senza un componente fondamentale; da diverso tempo i Riverside avevano in programma di pubblicare un album come questo, un lavoro che approfondisce la componente più intima del loro sound, esplorando atmosfere e influenze che erano presenti fin dagli esordi. Dunque la morte di Piotr Grudziński è stata una triste coincidenza, che, tuttavia, ha dato una spinta in più agli altri membri per concretizzare un progetto che tutti, compreso Piotr, avevano in mente da anni. Si tratta inoltre di una raccolta, anche se atipica, dal momento che comprende un paio di vecchi pezzi remixati (“Rapid Eye Movement” e “Rainbow Trip”) assieme ad alcune bonus track dei precedenti dischi e quattro brani inediti.
Le atmosfere sono soffuse, meditative, a volte oscure e altre volte ipnotiche; spesso si avvicinano a quelle dei Lunatic Soul, il side project del frontman Mariusz Duda. Come nel precedente Love, Fear & The Time Machine si nota una produzione di qualità, che sa mettere ogni strumento al suo posto con un risultato chiaro e pulito, tanto che anche i due pezzi vecchi guadagnano qualcosa dal nuovo mix. Ascoltando quelle che prima erano bonus track si coglie qualche riferimento a pezzi più famosi, dai quali ogni tanto viene ripresa un’idea usata come punto di partenza per una divagazione strumentale. Tra queste si distinguono “Aether”, particolarmente elegante nei fraseggi del basso, accompagnati da un leggero tappeto sonoro, e “Night Session Part Two”, impreziosita da un sax nell’introduzione. Ottimi anche i brani inediti, come “Where The River Flows”, primo singolo (se di singolo si può parlare) estratto dall’album: l’introduzione ricorda il sound cupo dei primi Riverside, e nell’arco di dieci minuti si viene trascinati da un riff ossessivo di tastiera che lascia lentamente spazio a un finale di più ampio respiro, intenso nella sua semplicità. Proprio da questi pezzi si capisce come la vena creativa della band di Varsavia sia ancora fresca e rinforzata da un gusto per la melodia che si è fatto più raffinato negli anni. “Shine” sorprende un po’ meno, anche se la qualità rimane sempre alta, mentre “Sleepwalkers” ruota attorno a poche inquietanti note di tastiera, riportando alla mente i Porcupine Tree più elettronici, quelli di “Sleep Together” o “The Incident”. Infine la titletrack, posta in fondo al disco, è un vero e proprio brano ambient, delicato, etero e malinconico.

Fa piacere che ogni tanto ci sia qualche gruppo che abbia voglia di deviare dal suo percorso, non per forza con un cambio di rotta definitivo ma, più semplicemente, con l’intenzione di mostrare un altro lato della propria personalità musicale. Certo, in questo caso la maggior parte delle tracce è stata recuperata da altri lavori, ma si tratta comunque di un’idea diversa dal solito, un esperimento che ci sentiamo di considerare riuscito. Sul futuro dei Riverside non si può ancora dire molto: forse Eye Of The Soundscape rimarrà un episodio isolato ma, senza un chitarrista professionista nella formazione, sarà facile sentire qualcosa di simile anche nei prossimi album. Ad ogni modo la voglia di proseguire non sembra essere svanita, e per il momento ci basta sapere questo, fiduciosi che, anche nella nuova situazione in cui si sono trovati, Mariusz Duda e soci sappiano mantenere quella stima di pubblico e critica che si sono guadagnati un passo alla volta.

 

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