Recensione: Eye Witness

Di Mauro Gelsomini - 15 Luglio 2003 - 0:00
Eye Witness
Band: Royal Hunt
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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70

Risponde al nome di “Eye Witness” l’ultima fatica dei danesi Royal Hunt, giunti con quest’album alla ottava studio release, la prima con la nuova etichetta, la nostrana Frontiers Records.

Come tutte le sue produzioni, la Frontiers preferisce accentuare la cristallinità del sound, peraltro già decisamente pulito nei lavori precedenti del gruppo, e il risultato non fa rimpiangere quello raggiunto da “The Mission”.
Si parte con Hunted, ed è subito un incalzante up tempo infarcito dai tipici elementi caratterizzanti lo stile Royal Hunt. Controcori patinati, quindi, riff taglienti e orchestrazioni pregevoli da parte del tastierista e mente della band Andre Anderson. La voce nasale di John West mi sorprende positivamente sulla strofa della successiva “Can’t Let The Go”, dove si abbandona a un cantato aggressivo e lontano dai suoi standard, salvo poi ritornare successivamente sui suoi passi. La song è oscura e cadenzata, e inizia a scoprire quello che sarà il filo conduttore dell’intero album, ovvero una marcata inversione di tendenza rispetto al precedente “The Mission”, e, in un certo senso, rispetto all’intera discografia. Lo dimostra anche l’organo che introduce il cantato mistico di “The Prayer”, prima che “Edge Of The World” irrompa con il suo mid-tempo ruggente, accattivante ma che mai si lascia andare all’happy metal. Il mi cantino di West introduce la successiva “Burning The Sun”, forse la song più legata al passato dell’intero platter, con la sua melodia immediata, mentre “Wicked Lounge” si discosta totalmente dal metal stesso, essendo uno slow da piano bar infarcita di elementi d’ogni sorta, dal solo di sax ai cori pseudo-gospel, dalla linea vocale a metà strada tra una rock ballad e una Christmas’ song e il piano anni ’50.
La parentesi giocosa è presto chiusa da “Fifth Element”, strumentale d’atmosfera, cangiante e sostenuta dal clavicembalo incessante di Anderson. Arriva quindi “Help Us God”, altra invocazione che ribadisce l’aspetto intimista del nuovo Royal Hunt, e che forse si avvicina alla produzione del West solista, anche se sono ben marcati tutti gli aspetti fondamentali del sound del gruppo danese. Un altro mid tempo dalle tinte malinconiche, che alla lunga risulta stucchevole, mancando quasi totalmente di mordente sonoro. Le sorti di “Eye Witness” si sollevano un po’ con “Game Of Fear”, sostenuta dal tellurico lavoro di Steen Morgensen al basso, e sebbene le tonalità minori rimangano a fare da padrone, le melodie sono godibili e gli arrangiamenti tornano ad essere studiati alla vecchia maniera. Ultima ma non ultima, la titletrack, in primis lenta e sofferta, solo voci e tastiere, diviene negli ultimi novanta secondi, un up tempo tipicamente power metal.

In definitiva, un disco “diverso”, sicuramente, ma che non mi ha totalmente soddisfatto, stando soprattutto a ciò che era stato “The Mission”, forse meno ispirato ma più d’impatto, ma si tratta comunque di un lavoro più che buono, consigliato sì agli amanti del power metal, ma anche a chi predilige la leziosità dei suoni e la classe negli arrangiamenti.

P.S.: la versione digipack consta di due bonus track: la special version di “Martial Arts” (già apparsa sul debut “Land Of Broken Hearts”) e su “Paradox” e la versione live acoustic di “Follow Me”, tratta da “Fear”.

Tracklist:

 1.  Hunted      
 2.  Can t Let Go      
 3.  The Prayer      
 4.  The Edge Of The World      
 5.  Burning The Sun      
 6.  Wicked Lounge      
 7.  Fifth Element      
 8.  Help Us G-D      
 9.  Game Of Fear      
10.  Eye Witness

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