Recensione: Face The Heat

Di Abbadon - 1 Marzo 2003 - 0:00
Face The Heat
Band: Scorpions
Etichetta:
Genere:
Anno: 1993
Nazione:
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80

Face the Heat è primo Album degli Scorpions dopo il grande boom che destò la loro immortale Wind of Change, e il primo uscito senza un elemento storico della band, ovvero il Bassista Buccholz, uscito dal gruppo e rimpiazzato da Rieckermann. Introdotto al mercato nel 1993, ben 3 anni dopo “Crazy World”, che conteneva appunto la famosa ballata prima citata, Face the Heat venne secondo molti visto (prima della sua uscita) come la prosecuzione dell’ammorbidimento della band, che dopo “Love at First Sting” aveva gradatamente ridotto il tasso di Rock “pesante”, presente nelle sue compilation, nonostante l’ottima fattura dei dischi (anche se Crazy World, a mio parere, a parte qualche pezzo è stato abbastanza deludente) che ancora la band di Hannover riusciva a sfornare dopo venti anni abbondanti di carrira. Invece Face the Heat si dimostrò totalmente differente dalle ultime fatiche di Meine e soci, forse differente da tutti i precedenti album, molto rocckeggianti e vivaci. Infatti presentò una notevole sonorità, pesante, quasi Heavy Metal, senza presentare generalmente pezzi veloci rispetto agli altri dischi (ovviamente con le dovute eccezioni), ma molto quadrate, potenti, anche cattive se necessario, il che non esattamente lo stile della band. L’album comunque risultò essere un prodotto notevole, sottovalutato sicuramente, e altrettanto sicuramente l’ultimo degno di nota di un gruppo storico, che da li in poi si dedicherà ad altri tipi di musica, purtroppo.

Dicevamo di Face the Heat che è un album potente, ma non è solo questo. Intanto è davvero lungo per un album rock, 14 canzoni (incluse le bonus tracks) per oltre 60 minuti di ottima qualità, il che non fa mai male. In secondo luogo è un album che riesce a riunire alla perfezione, con una giusta miscela, le canzoni più aggressive e tecniche, con le classiche ballads presenti, che non sono poche, ma che tuttavia non alleggeriscono per nulla il disco, anzi gli danno un tocco di classe. La tecnica strumentale è ottima, coi soliti punti di forza, e con Rieckermann che sostituisce davvero bene Buccholz. La voce come sempre è eccellente, ma da uno come Meine è il minimo che ci si possa aspettare.

Data una introduzione generale, tanto vale approfondire la conoscenza con i 14 pezzi che compongono Face the Heat. Il disco si apre subito con una canzone davvero tosta, spesso troppo dimenticata nelle varie compilations dedicate al gruppo, ovvero “Alien Nation”. Il pezzo, che parla di scenari devastati e di presagi di morte nella città degli angeli, è lento, pesante, veramente cattivo rispetto alla media, la voce sembra fatta apposta per gridare accuse dolorose, con gli strumenti che la assecondano pienamente, con riff grevi, un basso in grande evidenza e l’elettrica che accompagna sullo sfondo enfatizzando il tutto. Davvero un gran pezzo, forse il migliore del disco, seguito da un’altra bella song, ovvero “No Pain no Gain” Anche qui si apre in maniera cupa, con una chitarra distorta per tutta la lunghezza della track, che fa da sottofondo a un pezzo sicuramente particolare, ma che rispetto ad Alien Nation prende di meno, forse proprio per come è composto. Molto dinamica risulta essere “Someone to Touch”, brillante e spiglita, con riff veloci, una lirica provocatoria e un azzeccato dosaggio di volume tra voce e resto degli strumenti. Inoltre il ritornello sembra fatto proprio per essere ballato, e viene splendidamente eseguito, facendo Someone to touch canzone davvero degna di essere sentita più volte. Quarta song e prima Ballad di Face the Heat è la bella “Under the Same Sun”, canzone dalla dolcissima melodia, un vero e proprio inno alla pace , leggera ma sentimentale all’ennesima potenza. Finita Under the same sun attacca un’altra canzone targata dalla potenza, ovvero “Unholy Alliance”, che tuttavia non mi convince troppo, un po per la voce che non mi sembra ai soliti livelli, un pò per la musica, un pò perchè sicuramente, nonostante sia un discreta track, è abbstanza inferiore alle precedenti, tutto lì. La media qualitativa viene ristabilita subito con la sesta traccia, “Woman”, ballata lenta passionale, romantica, e realizzata davvero molto bene anche come effetti di fondo, che creano una atmosfera tutta particolare, in senso positivo. Non mi piace troppo invece “Hate to be nice”, che musicalmente è ben fatta, pero a mio avviso manca di atmosfera, e di quel tocco (che poteva essere un refrain ben fatto), per renderla di un gradino più alta nella mia valutazione. Molto carina la successiva “Taxman Woman”, che non sarà eccezionale, ma è molto ritmata e fa passare velocemente il tempo in sua compagnia, aspetto che non va sottovalutato in una canzone, che nel caso specifico è suonata anche molto bene. Inizia poi una musica che mi ha fatto dire : “Ao che ce fanno qui i Running Wild?”, poi mi sono reso conto che la canzone in questione era “Ship of Fools”, che effettivamente fa running wild (almeno secondo me), nel ritmo e nelle tonalità, che rendono questo pezzo uno dei miei preferiti del disco. La doppia cifra di pezzi dell’album (ovvero decima song), è “Nightmare Avenue”, pezzo un po’ grezzo, e tutto sommato, scialbo, eccezion fatta per un discreto ritornello, che è l’unica cosa che salvo della canzone. Da qui alla fine, le canzoni sono quasi tutte ballate, ben fatte, che aggiungono un tocco di classe a un album che fino ad ora si era dimostrato non eccezionale, ma comunque molto ben fatto e strutturato. Si passa quindi dalla eccellente “Lonely Nights”, che fa perdere nel mare di stupendi ricordi, ormai passati, alla stupenda “Destin” (la ballad che preferisco dell’album assieme a Under the Same sun, nonostante i suoi soli 3 minuti), accompagnata da una dolce chitarra classica e da una voce che sa ancora dare forti emozioni, alla struggente e triste “Daddy’s Girl”, che tratta un argomento delicato, quello dell’incesto, ma che comunque riesce a tradurre in pieno la lirica che presenta in note. L’unica pecca che non mi piace di queste ultime song, è la bonus track, “His Latest Flame” (cover di un gruppo che non mi ricordo adesso, onestamente), carina, passabile, ma che nulla ci azzecca con resto di “Face The Heat”, che mi ripeterò, non sarà al livello dei vari Lovedrive, Blackout & Co., ma sicuramente un album ottimo, sottovalutato, e, aimè, probabilmente l’ultimo di un certo livello per la storica band di Hannover.

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