Recensione: Facing the Animal

Di Riccardo Angelini - 11 Luglio 2006 - 0:00
Facing the Animal
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Anno: 1997
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85

Quando si parla di Malmsteen, non si può mai sperare di mettere tutti d’accordo. Divisi tra chi lo accusa di campare di rendita sui successi della prima parte della sua carriera e tra chi non rinuncia ad apprezzare anche i suoi lavori più recenti, pubblico e critica ancora non riescono, nonostante tutto, a ignorarne le nuove fatiche. Lo svedese, invece, sembra perfettamente intenzionato a ignorare entrambi, come dimostra il fatto che da più di vent’anni a questa parte continui imperterrito a suonare la musica che gli piace, come gli piace. E questo, concedetemelo, è un punto a suo favore.

In una discografia che probabilmente ha già offerto i suoi frutti più prelibati, Facing the Animal si colloca nello snodo centrale di una vera e propria fase di passaggio. Decima prova da studio del guitar hero scandinavo – se si considera anche l’album-tributo Inspiration – il disco giunge in un momento delicato della sua lunga carriera. Il recente passato ha offerto prestazioni complessivamente positive, ma non esenti da cali di tensione. Magnum Opus regalava lampi di gran classe inframezzati da qualche passaggio più anonimo, tra gli album degli anni novanta solo The Seventh Sign sembrava restituire il Malmsteen di un tempo. L’ennesimo stravolgimento della line-up – eccezion fatta per l’inossidabile Mats Olausson alle tastiere – solleva ulteriori nebbie sulle potenzialità del nuovo lavoro.

Ma qualche indicazione positiva c’è. Yngwie ritrova al basso l’affidabilità di Barry Dunaway, già apprezzato durante il tour di Odyssey e confermato dopo il buon ritorno per il tour di Inspiration, mentre il microfono viene depositato nelle mani del carimsatico Mats Leven, in precedenza distintosi tra le fila di Swedish Erotica, Treat e degli Abstrakt Algebra del Candlemass Leif Edling. Alle pelli, last but not least, troviamo l’immenso Cozy Powell, in una delle ultime (grandi) prove da studio prima della sua prematura scomparsa nel 1998.
La formazione ha i numeri per creare qualcosa di importante, ma la chiave di volta è deposta come sempre nelle mani del leader. Qui non si parla di velocità o di virtuosismo tout court – per quanto esecutore di eccezionale caratura, Yngwie non può più considerarsi tecnicamente all’avanguardia – qui si parla di canzoni. E’ su questo campo che si gioca la partita, una partita che il chitarrista vichingo è determinato a vincere.
Braveheart è una dichiarazionedi guerra: Powell scalda le polveri, Leven accende la miccia, le sei corde esplodono. Ne nasce una killer song devastante, che si immerge nella tradizione gaelica per uscirne epica, oscura, impavida. Ed è solo l’inizio.
La mano passa alla title track: la strategia comincia a diventare chiara. Un passo indietro sul versante classico per compierne tre avanti nella dimensione rock. Cozy e Barry si intendono alla perfezione, e scaricano nelle ritmiche cadenzate un feeling irresistibile. Yngwie esagera, si esalta, improvvisa – eppure Leven quasi gli ruba la scena, con una prestazione da urlo.
Superiamo in un balzo le ombre di Enemy e i bagliori di Sacrifice, e atterriamo giusto in tempo per lasciarci rapire da Like an Angel, lettera d’amore dedicata da Malmsteen alla consorte April. Sulle calde note del pianoforte di Olausson si appoggia un arpeggio soffice e romantico, mentre la passionalità degli assoli si rituffa senza esitazione nelle profondità dell’oceano neoclassico.
Ma è di nuovo rock: la Stratocaster ruggisce e spalanca le porte per l’entrata trionfale di basso, batteria, tastiere. La potenza dei riff incede baldanzosa, il chorus non fa prigionieri: My Resurrection è più di un titolo, è il grido liberatorio che annuncia il definitivo ritorno di un grande della chitarra.
Possiamo anche fermarci qui: dalle cromature dell’ottantiana Another Time, trascinata dall’irresistibile drumming di Powell, all’irrinunciabile finale neoclassico Air On A Theme, passando per l’epica Heathens from the North e la travolgente Poison in Your Vein, lo spazio per i malcontenti sarà men che marginale.
Vale la pena soffermarsi un attimo in più sulla grandiosa Only the Strong. Adrenalina ed esaltazione crescono di pari passo per deflagrare in un refrain straripante, suggellato da una assolo maestoso, vibrante e burbanzoso come solo lo svedese osa permettersi.

Non sono poche le voci che definiscono Facing the Animal l’ultima opera davvero all’altezza del nome Malmsteen. A patto di riservare un capitolo a parte per il monumentale Concerto per chitarra elettrica e orchestra dell’anno successivo, sembra tutto sommato di poter concordare con tali affermazioni. I lavori delle formazioni successive non sono riusciti a raggiungere i medesimi livelli qualitativi, condizionati dall’inesperienza di Yngwie nelle vesti di produttore (il pensiero va a War to End All Wars) o da un divario troppo netto tra sprazzi di luce e momenti di appannamento (è il caso di Alchemy).
Che lo si ami o – come pare di gran moda oggi – lo si odi, Yngwie rimane Yngwie, e il suo tocco non cambierà certo per vendere un paio di dischi in più. E quando la sua – discutibilissima, per carità – concezione di musica viene assistita da una felice vena d’ispirazione, ecco prendere forma dischi capaci di scuotere, commuovere, esaltare. Dischi come Facing the Animal, fiero ruggito di una belva ancora affamata.

Tracklist:
1. Braveheart (5:18)
2. Facing the Animal (4:37)
3. Enemy (4:53)
4. Sacrifice (4:16)
5. Like an Angel – For April (5:47)
6. My Resurrection (4:47)
7. Another Time (5:02)
8. Heathens from the North (3:38)
9. Alone in Paradise (4:33)
10. End of My Rope (4:23)
11. Only the Strong (6:04)
12. Poison in Your Veins (4:21)
13. Air on a Theme (1:44)

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