Recensione: Falconer

Di Mauro Gelsomini - 21 Aprile 2002 - 0:00
Falconer
Band: Falconer
Etichetta:
Genere:
Anno: 2001
Nazione:
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75

In molti pensavano che il progetto Falconer non sarebbe stato nulla di più che una sorta di addolcimento dei Mithotyn, dal momento che militavano nella black/viking metal band svedese due dei tre membri degli attuali Falconer: Karsten Larsson alla batteria e Stefan Weinerhall alla chitarra e al basso. Devo dire che tutti i dubbi erano giustificabili, dal momento che il periodo in cui esce “Falconer” non è di grande splendore per il genere viking, piuttosto per sonorità più soft e melodiche. Il cambiamento in questo senso c’è sicuramente stato, visto che il vocalist scelto è lo sconosciuto Matthias Blad, capace di dare con la sua voce calda e melodiosa un tocco di classe alle linee dei brani: immediato l’accostamento ai Ten di “Spellbound”, in cui la scelta delle tonalità medie conferisce ai brani quel tocco di drammaticità ed epicità al tempo stesso, inseguito invano da molte band che si avvalgono di linee high-pitched. La produzione è di quelle da leccarsi i baffi, dal momento che registrazione, masterizzazione e missaggio sono state curate da un certo Andy LaRocque (King Diamond, At The Gates, Death, Evergrey), ma come anticipavo, non si riduce tutto ad un restyling del viking metal, perché i Falconer brillano di luce propria grazie alla compattezza di un suono che non risulta affatto stantio, per quanto paradossale possa essere questa affermazione nel power metal: mai un calo di atmosfera, mai un passaggio titubante. Il genere proposto è chiaramente qualcosa che non può distaccarsi dal power-epic metal, anche se la scontatezza viene abilmente evitata con grande classe nella scelta delle melodie e degli arrangiamenti. Le prime non sono mai becere e approssimative, nonché sempre supportate dall’avvolgente timbrica di Matthias; i secondi, minuziosamente curati, danno grande risalto alla compattezza di un suono che non si ferma all’esperienza Iron Maiden (“Mindtraveller”, per fare un esempio), ma spazia anche in terreni poco battuti, quali il folk degli Jethro Tull o soluzioni di stampo tipicamente Hard Rock. Con grande maestria, quindi, si raggiungono picchi di pathos epico e guerresco, come nella stupenda “Wings Of Serenity”, pura perla da cantare a squarciagola con i pugni al cielo, ma anche delicate atmosfere folk-metal, come “A Quest For The Crown”, che toccano tra l’altro il loro massimo con “Per Turssons Döttrar I Vänge”, pezzo tradizionale svedese, cantato da Matthias in duetto con una fanciulla dalla voce soave e malinconica. Come se non bastasse, l’aura medievaleggiante che avvolge l’intero disco tocca gli apici della maestosità con “Lord Of The Blacksmith”, vero e proprio assalto metallico.
Le liriche forse sono l’aspetto più prevedibile dell’album, trattando di draghi, spade e argomenti simili liberamente presi dal mondo del fantasy, ma va bene così: sinceramente non avrei digerito un’introspezione psicologica… A volte è doveroso nonché rilassante distendersi con l’intento di estraniarsi dalla realtà, e farlo con l’epic metal è uno dei modi preferiti di chi scrive. Se poi questo viene fatto con tanta classe e senso della melodia…

 

Tracklist:

   1.   Upon the Grave of Guilt (Weinerhall) – 4:57
   2.   Heresy in Disguise (Weinerhall) – 5:19
   3.   Wings of Serenity (Weinerhall) – 5:00
   4.   A Quest for the Crown (Weinerhall) – 4:14
   5.   Mindtraveller (Weinerhall) – 5:45
   6.   Entering Eternity (Weinerhall) – 5:14
   7.   Royal Galley (Weinerhall) – 4:16
   8.   Substitutional World (Weinerhall) – 7:42
   9.   Lord of the Blacksmith (Weinerhall) – 4:43
  10.   The Past Still Lives On (Weinerhall) – 4:34

 

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