Recensione: Fatal Cliché [EP]

Di Luca Montini - 29 Gennaio 2014 - 0:00
Fatal Cliché [EP]
Etichetta:
Genere:
Anno: 2013
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
73

Cliché ‹klišé› s. m., fr. [part. pass. di clicher «stereotipare», voce onomatopeica che in origine esprimeva il rumore della matrice che cade sul metallo in fusione da cui prende il nome].
 

I Fatal Cliché nascono a Roma nel maggio del 2011, proponendo sul palco dapprima cover classiche gothic/symphonic female fronted (Epica, Nightwish, After Forever) e successivamente brani inediti, sovente alternati ad esperimenti decisamente inusuali, come il riadattare in chiave metal pezzi degli 883. Forti di una massiccia attività live e di indiscutibili capacità tecniche, i ragazzi producono questo primo EP eponimo dal titolo “Fatal Clichè”.

Sette brani per un totale di 28 minuti, tutti equilibrati della durata di circa quattro minuti: decisamente tanto materiale per un EP, un lavoro probabilmente già adulto e ‘decantato’, giunto a questa ‘prova generale’ prima di presentarsi sul palcoscenico del metallo italiano come un album compiuto.
Il CD player inizia a riprodurre. Aprono un pugno di note di tastiera-clavicembalo e subito fuoco alle polveri con un attacco power degno degli Stratovarius dei bei tempi. Poche note (anzi tante, ma molto veloci) ed entra in scena la voce operistica di Eleonora Carosso e già corrompiamo il nostro giudizio dall’opener dal titolo (indovinate un po’?) “Fatal Clichè”: “Ma sono i Nightwish!”. Eppure qualcosa non quadra nella nostra primissima impressione: il lavoro quadrato della batteria batteria ed il riffing delle chitarre è decisamente più power, i solos incrociati di chitarra e tastiere sono molto raffinati e possiamo facilmente rinvenire il “doppio livello” tra linea melodica del cantato e quella della chitarra solista che ricorda da vicino il gran lavoro svolto da André Olbrich nei Blind Guardian. Tante influenze insomma già dal primo brano.
Più pesante e serrata la successiva “Dark Way”, ancorata a stilemi più classici ma con un ritornello di facile presa; annoverata tra i primi brani prodotti dalla band, assieme al mid-tempo “Flaming Heart”, quest’ultima proposta alla quarta posizione. Anche qui lo stile è principalmente gothic nelle linee vocali, anche se tra un brano e l’altro si ha la positiva impressione che la giovane voce di Eleonora si possa adattare con grande duttilità da parti più operistice a parti più rock, anche all’interno dello stesso pezzo. Voce camaleontica che si fa grande protagonista in “Flashback”, dove compaiono anche piccoli e poco invasivi incisi in growl maschile.
C’è anche spazio per una power ballad: “Lost Lands”, dove il lavoro di atmosfera delle tastiere prende la scena per buona parte del brano sia in primo che in secondo piano, fino all’esplosione del ritornello e del solito assolo misurato e mai ridondante. L’attacco di “Illusion” ricorda molto da vicino quello di “The Beauty and the Beast” (dopo l’intro); anche qui l’atmosfera è quella di un symphonic metal di stampo nordico e fiabesco.
Chiusura dell’album inconsueta, con le note di “Alegria” del Cirque du Soleil, cantato come nell’originale in tre lingue (inglese, spagnolo ed italiano) e perfettamente riarrangiato, con quell’attacco di chitarra che si staglia imperioso e spezza l’arpeggio in apertura, per chiudere in un crescendo di tastiere, batteria e chitarra, che di nuovo si sovrappone in chiusura alla linea melodica. Il brano, per la cronaca, nasce per l’omonimo spettacolo per il decennale della celebre compagnia di circo acrobatico itinerante (1994), la cui colonna sonora ottenne un notevole successo. Nel suo testo semplice ma non banale e con quella melodia coinvolgente l’album saluta l’ascoltatore con un’ottima sensazione di coesione: la band si diverte con questo tipo di operazioni, un po’ come i già citati Blind Guardian o i Children of Bodom, protagonisti in più occasioni di operazioni analoghe. Per non parlare degli Angra e del clamoroso successo di “Wuthering Heights” o di quelli di “Over the Hills and Far Away”, nella celeberrima cover di una band qui citata più volte. 

La proposta multiforme dei Fatal Clichè è maggiore della somma delle parti che lo compongono: se l’obiettivo della band, già inciso a fuoco nel nome, è quello di rifuggire i cliché prestabiliti, la strada è decisamente quella giusta. Le influenze dai vari ambiti, maniere e sottogeneri del mondo gothic e symphonic si sentono, ma la pulizia ed il dinamismo nel songwriting e l’attenzione per i dettagli già da questo lavoro ne fanno un ottimo lasciapassare per il futuro. Anche la qualità audio del missaggio, seppur non ai livelli di talune produzioni, appare molto curato e sopra la media per un EP d’esordio. Del resto, la chiave per non scadere nel citazionismo, nella maniera e nella fotocopia in bianco e nero è lasciare che tutte le influenze vengano valorizzate, suonare cogliendo tutte le cromie del suono e divertirsi nel farlo, sperimentare, come questa band da l’impressione di fare con grande vivacità. Vietato stigmatizzarli immediatamente con stilemi preconfezionati, il rischio è cadere in un clichè… fatale!

Luca “Montsteen” Montini

…discutine nel topic relativo al Power Metal!

Ultimi album di Fatal Cliché