Recensione: Feeding The Fire

Di Mauro Gelsomini - 17 Settembre 2004 - 0:00
Feeding The Fire
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Anno: 2004
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64

E’ un incontro tra il metal neoclassico e l’hard rock melodico il debut dei nostrani Edge Of Forever, che annoverano nella “rosa” uno straniero: trattasi di Bob Harris, singer degli Axe, già avvezzo a simili sonorità e in grado di contribuire con tanta esperienza e qualità alla causa Edge Of Forever.
Spicca tra i componenti della band anche Alessandro Del Vecchio, da me nominato da poco in occasione della recensione di Fire In The Hole dei Wine Spirit.
Non a caso anche gli Edge Of Forever bazzicano dalle parti dei Conquest studio, ormai fucina e ritrovo degli artisti di casa e non, per quanto riguarda l’heavy che conta.
Completano il combo Matteo Carnio, chitarrista/paroliere dall’incelata passione per Ritchie Blackmore, il bassista Christian Grillo, e il batterista Francesco Jovino. La produzione è affidata a Marcel Jacob, già nei Talisman di Jeff Scott Soto, anch’egli ospite del disco in un duetto con Harris sulla queeniana “Prisoner” – la cui intro ricorda molto le atmosfere di “The Show Must Go On” – e autore di gran parte delle backing vocals.

Come già detto, gli Edge Of Forever propongono un metal che attinge principalmente da due fonti, quella neoclassica dei primi Malmsteen’s Rising Force (la titletrack, che apre il disco, ha un flavour che potrebbe ricordare, specie sul ritornello, “Heaven Tonight”), e quella hard rock melodica di band come Talisman e Hard Rain. In realtà la musica degli Edge Of Forever mi ha fatto pensare piuttosto spesso a quella dei Royal Hunt di Paradox, ovvero quelli meno sinfonici, con le chitarre di Matteo sempre in evidenza e dal grande impatto. Forse l’aspetto più metallico è preponderante, addirittura con “Bloodsucker” si sfiora la cavalcata power, se non fosse per gli innesti di Alessandro, molto Deep Purple Style, a distogliere l’attenzione dalla chiara matrice Rainbow/Malmsteen/Stratovarius del pezzo. Forse la song più “scandinava” del lotto, se si parla di metal neoclassico, è “The Gates Of Hell”, uno dei brani più deboli proprio in virtù del fatto che è pesantemente in debito di freschezza rispetto ai suoi padri putativi.
Dall’hard rock arrivano molti dei refrain, e sicuramente gran parte degli arrangiamenti, a cominciare dai controcanti, di gran classe e di sicuro impatto, alieni a tanta parte del power metal melodico che mi capita di ascoltare, soprattutto quando questi aprono in maniera coinvolgente canzoni già ben congegnate, come la bella ballad “The Road We Walked On”, terreno fertile per la suadente voce di Harris.
Si chiude con la purpleiana “I Won’t Be A Fool No More”, e si torna a rockeggiare con un bridge che grida “Lunga Vita Al Rock’n’Roll”, se non si fosse capito, il lato degli EOF che preferisco…
Al di là di qualche soluzione un po’ troppo abusata, e pur non reinventando un genere che sembrerebbe star vivendo una nuova gioventù, la band si lascia intelligentemente trascinare dal veterano Bob Harris, coadiuvato da composizioni derivative sì, ma ben confezionate.
Un’altra band da tenere sott’occhio, dunque, che sicuramente contribuirà a tenere alto il nome del bel paese all’estero (se poi riuscissero a trovare un singer italiano sarebbe il massimo!) e a sottolineare che in Italia non si suona solo power metal.

P.S.: nel disco è inclusa come bonus la traccia del videoclip di “Feeding The Fire”.

Tracklist:

  1. Feeding The Fire
  2. Birth Of The Sun
  3. Prisoner
  4. Whatever Comes
  5. Mother Of Darkness
  6. Bloodsucker
  7. The Road We Walked On
  8. Dance Into The Fire
  9. Gates Of Hell
  10. I Won’t Be A Fool No More
  11. Feeding The Fire (video bonus track)

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