Recensione: Fiendish Regression

Di Giorgio Vicentini - 15 Novembre 2004 - 0:00
Fiendish Regression
Band: Grave
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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75

Questi ultimo periodo sembra essere la riscossa dei grandi vecchi, dopo Unleashed, Darkthrone ed Incantation, usciti tutti recentemente, ora tocca ai Grave. Ma dove li avevamo lasciati? Un tempo si sarebbe risposto con un laconico “eh… ai bei tempi che furono, quelli di You’ll Never See o Soulless, mentre ora possiamo parlarne come di un gruppo vivo e vegeto.

Il nuovo Fiendish Regression

ha delle novità di rilievo già a bocce ferme, infatti gli esperti svedesi decidono che questo album dovrà essere qualcosa di importante e per questo scelgono di abbandonare i Sunlight Studios per lasciarsi nelle mani sapienti dell’immarcescibile Peter Tatgren, che come il prezzemolo mette il suo zampino anche su questo platter. Altra nota di rilievo la presenza del nuovo batterista Pelle Ekegren , passato in pianta stabile e proveniente dai conterranei Coercion, band death metal troppo spesso trascurata.

Tornando per un attimo al lavoro svolto dal guru dei produttori estremi, devo ammettere per la seconda volta in poco tempo, che è riuscito a dare un apporto importante ed intelligente al lavoro già ottimo svolto dalla band in fase di stesura dei brani: produzione granitica, possente, a dimostrare che quando la band al lavoro ha personalità ed esperienza, l’opera che uscirà dai The Abyss potrà soltanto essere eccellente, evitando anche il classico Tatgren style che spesso è anche troppo invadente.


Fiendish Regression è una mazzata sul muso, un disco potente, interessante, monolitico ma a suo modo vivace; spinto da scelte in sede di produzione che lasciano ben scoperto il basso permettendogli di calcare la mano su certi passaggi, correttamente cadenzato dalle ritmiche scandite dalla doppia cassa ininterrotta. Sono varie le frecce a disposizione dei Grave 2004 tra cui gli esaltanti ed onnipresenti mid tempos granitici, come in “Reborn” o “Out Of The Light”, che giocano sull’alternanza tra il riffing rabbioso ed i rallentamenti; palpabile è la sensazione di essere sottomessi dalla potenza dominante di alcuni passaggi rallentati e di apparente attesa, ma corposi e con la forza di entrare nelle budella come nel caso dello staccone possente di “Awakening”. Provate a non esaltarvi su uno dei vari episodi heavy a pieni di groove come “Inner Voice” o “Trial by Fire” che non perdono mai la loro connotazione di estrema compattezza. Man mano che il disco avanza, ci si rende conto del suo incedere inarrestabile, passando anche per le accelerazioni marce di “Breeder”, un po’ come ai vecchi tempi nei quali circolavano le versione d’annata di Hypocrisy ed appunto Grave. Per la rubrica “Note che Provengono dal Passato”, impossibile non segnalare la somiglianza “sospetta” dell’arpeggio iniziale dell’opener con l’intro mastodontica di “South of Heaven”, una citazione accettabilissima che non scade nel plagio.

Una grande prova di sostanza, carica di rabbia applicata al loro classico stile, fatto anche di note stoppate e di spirito battagliero per dare linfa ad un disco rude, carnoso e caldo, ben più carico ed emozionante del precedente. Credo sia inevitabile, confrontando l’album di ritorno nel 2002 con quello attuale, chiamare in gioco anche gli Unleashed che dimostrano di avere più di qualche punto in comune con i Grave: prima un disco per tastare il terreno dopo anni di silenzio, poi il colpo gobbo con il lavoro che non tutti si aspettano, ma che gli aficionados auspicavano. Se il precedente Back from the Grave vi aveva strappato al massimo un “toh, guarda chi si rivede, ma sono ancora vivi?”, se lo avevate sentito plasticato, finto ed un po’ monocorde (la sensazione che ho provato anche io), qui avrete di che ricredervi; chi li pensava perduti, potrà toccare con mano che i Grave non sono un morto che cammina tornato sul mercato per bisogno di soldi. Importante in questo senso, è stata la perdita dello storico batterista Jensa Paulsson, ora dedito alla sua vita di tutti i giorni, sostituito con il già citato Ekegren, fautore di una bella rinvigorita alla sezione ritmica, ora ben più vispa.

Ricordo che qualche anno fa, era meglio scappare piuttosto che ascoltare il nuovo disco delle band culto, ultimamente le cose stanno felicemente cambiando di rotta dandoci un sano disco di death metal come questo, che non scade mai in autocitazioni lacrimevoli.

Tracklist:
01. Last Journey
02. Reborn
03. Awakening
04. Breeder
05. Trial By Fire
06. Out Of The Light
07. Inner Voice
08. Bloodfeast
09. Heretic
10. Brurial At Sea (Saint Vitus Cover, Bonus Track)  
11. Autopsied (Re-recorded, Bonus Track)

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