Recensione: Fire Up The Blades

Di Angelo D'Acunto - 18 Luglio 2007 - 0:00
Fire Up The Blades
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Anno: 2007
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76

Apparsi come un fulmine a ciel sereno con l’esordio Battlecry Under A Winter Sun che lasciava già presagire quale sarebbe stata la linea condotta dalla band canadese ed osannati all’infinito con il secondo Advance And Vanquish; un misto fra cavalcate thrash ed heavy di pura matrice anni Ottanta rivista in chiave moderna. I 3 Inches Of Blood si ripresentano con la sezione ritmica totalmente rimaneggiata e con Fire Up The Blades, un disco attesissimo da tutti i fan della band che continua sulla stessa strada intrapresa dal sestetto canadese con gli esordi, senza alcun tipo di cambiamento e continuando con il personale tributo alle vecchie glorie degli anni Ottanta quali: Iron Maiden, Judas Priest, Overkill, Exodus e simili.

Fire Up The Blades, prodotto dal batterista degli Slipknot Joey Jordison e registrato all’interno degli Armoury Studios di Vancouver, continua sulla stessa strada dei lavori precedenti mettendo parzialmente da parte la versione più melodica della band già vista nel precedente Advance And Vanquish dando maggiore velocità ed incisività ai pezzi. La lineup della band è totalmente rimaneggiata ad esclusione dei due singer Cam Pipes e Jamie Hooper, le ritmiche nevrotiche e velocissime delle chitarre di Justin Hagberg e Shane Clark si fondono insieme creando un’effetto omogeneo, devastante ed incredibilmente efficace che viene sorretto perfettamente dall’ex batterista dei Walls Of Jericho Alexei Rodriguez dietro le pelli. L’inizio del disco è affidato all’intro Through The Horned Gate che fa da preludio ad una Night Marauders veloce e violenta; le voci dei due singer, una acuta e l’altra sporca, si intrecciano fra loro aggiungendo quel pizzico di originalità che contraddistingue quello che è ormai diventato il marchio di fabbrica della band. I 3 Inches Of Blood continuano a picchiare duro sui loro strumenti e lo fanno nel migliore dei modi, basti dare un’ascolto alle successive The Goatrider’s Horde e Trial Of Champions; brani che hanno la capacità di creare l’effetto di un vero e proprio pugno nello stomaco. Il resto dell’album scorre veloce e lineare fra furiose cavalcate thrash oriented e cambi improvvisi di ritmo senza dare la minima idea di dar tregua all’orecchio dell’ascoltatore, passando fra le epiche God of the Cold White Silence e Forest King che valgono da sole il prezzo del disco e concludendosi nel migliore dei modi con i cavalli di battaglia Black Spire e The Hydra’s Teeth. L’unico punto negativo dell’intero album viene identificato nella traccia The Great Hall Of Feasting, forse l’unico pezzo del disco che esce fuori dai soliti schemi di barbarica violenza della band rallentando lievemente il ritmo del disco; sicuramente un esperimento dei sei canadesi che non è riuscito in pieno ma che non abbassa di certo la qualità dell’intero lavoro.

Per concludere, Fire Up The Blades è un disco che, al contrario del suo predecessore necessita di qualche ascolto in più per riuscire a convincere in pieno, ma che nonostante ciò risulta essere ugualmente capace di rievocare alla mente gli anni d’oro della scena heavy e thrash metal; un’album che se non fosse per la produzione moderna e per la scelta di utilizzare due singer con stili di canto differenti, potrebbe essere tranquillamente avvicinato alle migliori cose concepite dai mostri sacri degli anni Ottanta.

Angelo ‘KK’ D’Acunto

Tracklist:

01 Through The Horned Gate
02 Night Marauders
03 The Goatriders Horde
04 Trial of Champions
05 God of the Cold White Silence
06 Forest King
07 Demon’s Blade
08 The Great Hall Of Feasting
09 Infinite Legions
10 Assassins Of The Light
11 Black Spire
12 The Hydra’s Teeth
13 Rejoice In The Fire Of Man’s Demise

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