Recensione: First Step to Supremacy

Di Daniele D'Adamo - 20 Novembre 2016 - 0:00
First Step to Supremacy
Band: Kosmokrator
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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78

Kosmokrator.

Misteriosa realtà proveniente dal Belgio. Cinque membri altrettanto misteriosi. Nascita nel 2013, un demo (“To the Svmmit”, 2014) e il debut-album, “First Step to Supremacy”. Temi trattati: occultismo ed escatologia. Altro, non è dato di sapere.

Il che non rappresenta certo un problema, anzi: i Kosmokrator si manifestano appieno mediante la loro musica. Death metal si può affermare sperimentale, nel quale la vicinanza con il black è prossima ai limiti territoriali, senza che le due entità, però, si tocchino. Il sound che si sprigiona da “First Step to Supremacy” è, difatti, talmente particolare, che è praticamente impossibile tentare dei paragoni con degli altri ensemble in ambito estremo. Magari, l’assonanza c’è con qualcuno che si spinge ai limiti dell’udibile con il fast black metal, tuttavia J. e i suoi accoliti discernono uno stile assolutamente personale, frutto di una visionarietà totale, avvolgente, assoluta.

Un’agghiacciante litania baritonale fa da incipit alla mostruosa “Initiate Decimation”, spaventosa accelerazione nel vuoto interstellare, indescrivibile allucinazione sonora. Già quando si dipana l’up-tempo la pressione operata spinge l’immaginazione ai confini del sistema solare, ma, quando si scatena il diluvio dei blast-beats (‘Death Worship’), l’attrazione verso le singolarità gravitazionali è irresistibile.

Il ritmo prodotto da T. (basso) ed E. (batteria) è multiforme, cangiante, camaleontico. Il titanico main-riff di ‘Death Worship’, diviene allora lo spunto per il tuffo finale nell’orizzonte degli eventi, per scivolare, penetrare, trapassare il buco nero che, lì dietro, ingloba anche le particelle fotoniche. La luce. Luce che non esiste, nella musica dei Kosmokrator, abbagliata da un buio cosmico, vuoto, privo di vita.

Il muraglione di suono costruito dal quintetto si estende indefinitamente in tutte le direzioni, presentano spessore pur’esso infinito. Sulle ripide pareti del monolite, schizzano via cascate d’infocate scintille, create dalle chitarre di M. e C.M. che, oltre a scolpire riff rocciosi, divagano fra gli ammassi stellari con le loro stringhe di note acute.

Il momento esatto del cozzo contro la materia oscura è contrassegnato da ‘Ksmkrtrs III – Mother Whore’, abominevole attacco fonico, nel quale, oltre a regalare al brano il proprio moniker privo di vocali, i Kosmokrator spingono al massimo delle proprie possibilità velocistiche, quasi fossero un acceleratore di particelle. Nell’immane song compaiono addirittura cori gregoriani che, nel contesto, assumono toni extraterrestri, angoscianti, orridi. Le chitarre quasi si dilatano nell’esecuzione degli accordi, trascinate via dall’inumana spinta del drumming.

‘Myriad’ fa da capolinea al viaggio allucinante entro e fuori la materia. La suite ha un andamento altalenante, fra odore di doom e furibondi strappi cinetici. Terminando con un rumore ambient dalla provenienza indefinibile, perfetto quale brusio di fondo che permea l’Universo o, più probabilmente, i Multiversi in cui si suddivide la realtà percepibile dai sensi.

Daniele D’Adamo

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