Recensione: Flesh for Funerals Eternal

Di Daniele D'Adamo - 12 Gennaio 2019 - 17:11
Flesh for Funerals Eternal
Band: Feral (Swe)
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2018
Nazione:
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74

Nuove band, nuova linfa allo swedish death metal. Quello vero, non imbastardito da paturnie progressiste o contaminatrici. Quello figlio dei Dismember, cioè, a parere di chi scrive la band che più abbia rappresentato lo spirito e la carne del sottogenere death nato a Stoccolma un quarto di secolo fa.

In questo caso chi apporta la sua dose di storia a un qualcosa che non vuole e non deve morire sono i Feral. Ensemble relativamente giovane, giacché fondato nel 2007, autore di tre full-length di cui l’ultimo in ordine di tempo è questo, “Flesh for Funerals Eternal”.

Il feeling con una tipologia musicale divenuta ormai leggendaria si innesca subito, con il combo di Skellefteå. Sin dall’opener-track ‘Vaults of Undead Horror’, la mente rimbalza all’indietro sulla linea temporale, allocandosi, proprio, accanto ai già menzionati Dismember ma anche agli Entombed, ai Dissection. 

Tuttavia, occorre avere ben chiaro che i Nostri non suonano death metal vecchia scuola. Non sono tedofori di nostalgiche sonorità le quali, a mano a mano che passano i lustri, tendono ad assottigliarsi, nelle lande del metal estremo. Al contrario, essi ci mettono molto del proprio, per rinnovare, ringiovanire, rendere attuale qualcosa che, se maneggiato male, darebbe luogo, stavolta sì, a un più banale old school death metal.

Invece no. Partendo obbligatoriamente da dettami stilistici ovviamente consolidati – da una base solida e ben definita bisogna pur partire… – , il quintetto scandinavo propone la sua visione, la sua interpretazione di un sound potente, consistente, rutilante, rabbioso. Le chitarre di Markus Lindahl e Viktor Klingstedt sono quelle che saltano per prime alle orecchie, dotate di un suono stupendo. Un suono perfetto se calibrato alla bisogna: scarificatore, un po’ zanzaroso come deve essere, soprattutto teso a tessere un tappeto ritmico su cui può muoversi il resto della band. Tappeto non solo venato da ragnatele identificative di quel clima di vecchiume, di stantio, caratteristico della foggia musicale di cui trattasi; ma realizzato a maglie strette poiché i riff sparati dalle mitragliatrici a sei corde sono davvero tanti, tantissimi, se commisurati a un disco della durata di una quarantina di minuti. Anche il cantante David Nilsson propone un growling ineccepibile, né troppo esagerato, né troppo edulcorato. Il tono è stentoreo, possente, che non ammette repliche; il che dà ai suoi compagni la necessaria sicurezza e tranquillità per sviscerare uno stile così ben disegnato da apparire addirittura finto. Così non è, poiché a renderlo vivo ci pensa la furibonda sezione ritmica costituita dal rombare continuo del basso di Viktor Klingstedt e del drumming preciso e puntale di Roger Markström che, nei momenti più concitati, non si esime dal ricorrere alla follia dei blast-beats (‘Bled Dry’).

Come purtroppo accade in questi casi in cui viene posta massima attenzione a non uscire nemmeno di un millimetro dalle coordinate stilistiche così faticosamente ottenute, chi patisce di questo risultato sono le canzoni, pericolosamente simili le une alle altre. Il che significa che, passando e ripassando le song, non ce ne sono poi molte, che restino impresse nella memoria. Evidentemente lo sforzo compositivo dei Feral si è concentrato sulla perfetta elaborazione di un marchio di fabbrica dai contorni forti, in evidenza; lasciando quasi che, poi, i brani uscissero fuori quasi da soli.

Ciò non toglie che “Flesh for Funerals Eternal” sia un’opera interessante e meritevole di attenzione, da identificare quale standard-2019 dello swedish death metal. Onore ai Feral, quindi, per la loro totale fedeltà alla linea e per la loro rispettosa rivisitazione di uno stile storicamente mitico.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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