Recensione: Follow the Signs of the Times

Di Stefano Ricetti - 13 Giugno 2015 - 12:30
Follow the Signs of the Times
Band: Tony Tears
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2015
Nazione:
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76

Alla fine della recensione di Music from the Astral Worlds, box antologico del 2014, apparsa sempre su questi neri schermi, scrissi “Nella speranza di veder uscire in futuro, a nome Tony Tears, una lavoro maggiormente focalizzato preferibilmente accompagnato da una vera band che lo possa anche proporre in ambito live, come auspicato dallo stesso polistrumentista ligure e il tutto associato a una qualità del suono maggiormente curata,  Music From The Astral Worlds cristallizza un patrimonio che altrimenti sarebbe rimasto relegato principalmente agli ambienti di culto. Un interessante manifesto di un artista peculiare, misterioso, che ha contribuito a scrivere alcuni passaggi della storia dell’heavy metal italiano dalle tinte cupe”.

Orbene, da qualche settimana è disponibile sul mercato Follow the Signs of the Times, lavoro a firma Tony Tears nuovo di zecca, ancora griffato Minotauro Records. L’album, accompagnato da un libretto di sei pagine con tutti i testi dei brani, si compone di una colonna vertebrale composta da dieci canzoni ma la novità riguarda la formazione: non più il solo Antonio “Tony Tears” Polidori a occuparsi di chitarre, synth e di tutto di più ma un gruppo che annovera anche David Krieg alla voce e Regen Graves alla sezione ritmica.

Al netto di una produzione molto poco bilanciata, seppur segnante un passo avanti rispetto ai lavori precedenti a questo, Follow the Signs of the Times riesce a piazzare alcuni colpi da ko di stampo doom come è lecito aspettarsi dal parto discografico di un personaggio che sin dalla fine degli anni Ottanta si dimena fra le putride viscere dei suoni cimiteriali e che artisticamente è cresciuto a pane e Goblin, Popol Vuh, Death SS, Violet Theatre, Jacula e The Black.

Agghiacciante il lotto delle cinque strumentali contenute fra le spire di Follow the Signs of the Times: con Intro (Sighs of Times’ Fear), Outro (Awakening of the Soul)  e Deep Misantropy avviate su territori classici per il genere mentre Demoniac Puppets e Covenant of the Lords of the End si affacciano dal capezzale della grande scuola Goblin.

L’assalto sonoro prende il via da Mark of Evil, pezzo massiccio dall’impianto Mercyful Fate all’interno del quale il singer David Krieg a tratti ricorda il compianto Sanctis Gorham, del Paul Chain Violet Theatre. The Road to Research affonda nelle allucinate radici del doom italico, Blind Love for a Medium gode delle accelerazioni vocali alle quali ci aveva abituato Steve Sylvester nella middle age dei suoi Death SS; Queen of Darkness è epica nera allo stato primordiale, per chi scrive l’highlight dell’album. A seguire la fedele cover di Armageddon, pezzo originariamente contenuto all’interno dell’Ep Detaching From Satan a firma Paul Chain, sempre griffato Minotauro Records, del 1984.

Il songwriting contenuto all’interno di Follow the Sign of the Times indica che il cupo sentiero imboccato dai Tony Tears lungo il cammino costellato dalle tonalità plumbee dell’Acciaio è quello giusto, solo il tempo saprà limare qualche asperità che ancora alberga all’interno della band, che rimane comunque una di quelle da segnarsi a chiare lettere sul taccuino.

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

Tony Tears band

 

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