Recensione: For Lies I Sire

Di Alberto Fittarelli - 8 Aprile 2009 - 0:00
For Lies I Sire
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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70

“La gente pensa che noi ce ne andiamo in giro portandoci le nostre tragedie sulle spalle, e non comprende che si tratta solo di teatro. Particolare, ovviamente, ma sempre teatro.”

Certe cose si sanno, ma forse sarebbe meglio non leggerle. Tutti, anche i più ingenui di noi, sono coscienti del fatto che l’alone gotico creato dai gruppi storici non è certo quello che vivono i musicisti nella vita di tutti i giorni, ma dichiarazioni come quella sopra, fatta in una recente intervista dal chitarrista Andrew Craighan, fanno di fatto svanire tutta la magia della musica di un gruppo come i My Dying Bride.

E personalmente mi spiace dover condividere e diffondere cotanto errore comunicativo, ma serve per poter descrivere la sensazione di “artefatto” che circonda, purtroppo, il nuovo For Lies I Sire. Li avevamo lasciati nel 2006 con quel gioiello di A Line of Deathless Kings, li avevamo celebrati con il live album An Ode to Woe (anche se diciamolo, il live audio non è esattamente il formato migliore per loro) e ce li ritroviamo nel 2009 cambiati di nuovo; o meglio, tornati indietro.

Prima di tutto la line-up: Dan “Storm” Mullins alla batteria e Lena Abé al basso già rivoluzionano metà del nucleo del gruppo, l’intera sezione ritmica; ma è soprattutto l’innesto di Katie Stone a fare scalpore e suscitare aspettative. Perché? Perché la signorina in questione è una violinista, e con il suo ingresso la band fa un salto indietro di ben 11 anni, quando Martin Powell abbandonò il gruppo, dopo averne forgiato indelebilmente il sound.

Ma non è tutto oro quello che luccica, è il caso di dirlo. Il sound di For Lies I Sire lascia infatti da parte il doom profondo, a volte feroce, sempre estremamente pesante di A Line of Deathless Kings e la sua carica epica, per tornare a un tentato mix doom/”dark”/gotico, quello da loro stessi creato nel periodo centrale della loro carriera, tra The Angel and the Dark River e Like Gods of the Sun; la voce di Aaron si fa inesorabilmente pulita, accantonando il growl da lui ripreso a partire da The Light at the End of the World; e la combo violino/tastiere fa il possibile per recuperare quelle atmosfere che li hanno resi grandi, e che loro stessi hanno reso grandi.

Il possibile, e forse non basta: perché salvo rari episodi, di cui parleremo a breve, il disco naviga su livelli medi, senza slanci, senza soprattutto quei riff capaci di imprimere da soli un carattere a un album, cosa che la coppia Craighan/Hamilton Glencross ha (quasi) sempre saputo fare. Grandi momenti, però, ce ne sono: già la title-track riscatta un inizio un po’ scialbo, con un pathos finalmente autentico e vibrante; il violino – non all’altezza degli arrangiamenti dell’inarrivabile Powell, tanto da sembrare sintetizzato in alcuni passaggi – qui si fa sentire a dovere. Ma sono soprattutto gli esperimenti a lasciare il segno: Echoes from a hollow soul, col suo macabro pianoforte iniziale; e soprattutto l’epica, roboante Bring me victory, con Aaron che rinuncia a cantare per minuti interi, passando alla pura recitazione, fino al chorus che apre il pezzo e lo lancia sulle coordinate tipiche del gruppo; ottimo lavoro di Mullins alle pelli, che si avvicina con classe al grande Rick Miah. A suggellare il tutto, un’altra sperimentazione: quella di Santuario di sangue (sì, ci hanno preso gusto coi titoli in italiano). Dopo una partenza abbastanza in sordina, quasi banale, il pezzo si apre a un ritornello da brividi, con la voce di Stainthorpe su tonalità alte (!) e assolutamente tragiche, sino al break atmosferico e al ritorno, travolgente, al riff portante. Un vero gioiello, su cui anche il violino fa la sua piccola ma importante parte.

Un album di alti e bassi insomma, che lascia un po’ l’amaro in bocca ma conserva la classe del gruppo albionico: e pazienza se ai My Dying Bride piace sempre di più togliere la maschera davanti al pubblico, pochi pezzi su un solo album riescono comunque a farci chiudere gli occhi e immaginare il resto.

Alberto ‘Hellbound’ Fittarelli

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Tracklist:

1. My Body, A Funeral 07:15
2. Fall With Me 06:47
3. The Lies I Sire 05:29
4. Bring Me Victory 04:08
5. Echoes from a Hollow Soul 07:19
6. ShadowHaunt 04:37
7. Santuario di Sangue 08:27
8. A Chapter in Loathing 04:46
9. Death Triumphant 11:06

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