Recensione: For This We Fought the Battle of Ages

Di Andrea Poletti - 12 Settembre 2016 - 5:04
For This We Fought The Battle of Ages
Band: SubRosa
Etichetta:
Genere: Doom 
Anno: 2016
Nazione:
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75

Natura il fece, e poi ruppe lo stampo.

(Ludovico Ariosto)

Quale è l’importanza dell’essere unico in quanto tale? Ogni essere umano ha il dono dell’unicità, vive sentieri che sono singolari ed irripetibili, io non sarò mai identico a te, e tu a me. Così nella musica, se escludiamo quel tumore delle cover band, ogni gruppo ha un’unicità al suo interno che porta a scoprire e trovare molti sentieri e soluzioni artistiche che prima d’ora nessun altro aveva mai realizzato. Certamente le note sono parte di un pentagramma finito e nulla si crea ma tutto di trasforma, anche un intero album dei SubRosa porta in dono quell’emozione che nient’altro al mondo riesce ad offrire, quell’emozione di trasformare il silenzio in echi profondi. Il doom ha mille venature e influenze, proprio in una di queste mille i SubRosa viaggiano lungo l’asse dello spazio-tempo per infliggere quella cicatrice che porta con sè ciò che di buono ancora è riscontrabile nella musica indipendente (a livello prettamente artistico). Chi li conosce ha davanti in maniera limpida e cristallina ciò che la band di Salt Lake City è riuscita a creare in questi anni, una realtà a molti sconosciuta ma di grande impatto visivo e lirico, una formazione al 60% femminile, che sfonda i classici cliché del metal gentile e apre un mondo pieno di malessere e contorsioni spasmodiche, lente e sofferenti; non v’è la classica gentilezza che che la femminilità offre, ma piuttosto spine nel costato e latrati dal profondo. 

For This We Fought the Battle of Ages” trae ispirazione da ‘Noi’, un romanzo dispotico dello scritto russo Yevgeny Zamyatin pubblicato nel 1924 per la prima volta. All’interno troviamo un paralizzante, ritratto che prospetta di un moderno stato di sorveglianza, in cui un mondo fatto di vetro impedisce segreti e politiche statali escludendo dalla vita del popolo il piacere del sesso.

Arriva a tre anni di distanza dal magistrale “More Constant than the Gods” e conferma, manco ne avessimo bisogno, che questo quarto album magari non sarà perfetto ma è dannatamente ben riuscito e trovargli dei difetti risulta praticamente impossibile. Definirlo migliore o peggiore rispetto al passato è un questione di gusto del singolo, perché qui di musica buona, ben fatta, musica di classe ne abbiamo in quantità; l’ennesima dimostrazione che i nostri difficilmente sbagliano, vanno oltre superando ostacoli che la sola immaginazione riesce a deturpare.

L’amore è come un cappio

Che ti strozza, che ti lascia

Sospeso a mezz’aria senza respiro

Senza forze indifeso,

Come una marionetta

Certamente sei canzoni, oltre un’ora di durata non sono facili da digerire e comprendere ad un primo ascolto; v’è una sotto struttura più fine e delicata, più eterea rispetto al passato che non stravolge assolutamente il suono dei SubRosa, ma porta alla luce quell’incanto che non è mai tramontato nel profondo. Con il procedere del minutaggio l’album si fa più denso di silenzi, di parole malvagie lungo momenti di sublime piacere, lievemente incastonato tra brama di vivere e desiderio dell’abbandono. Un flusso che si muove lento e inesorabile verso la fine che non ha occhi se non per te, guardandoti dritto nelle pupille, dove la tua anima risplende, sussurra nell’orecchio “lasciati andare, non soffrirai più”. V’è privazione, disorientamento ed impossibilità di descrivere razionalmente e classicamente ognuna delle tracce qui proposte. I violini che si intrecciano con quella cassa greve e mastodontica, i doppi vocalizzi e quei riff arcigni e delicati allo stesso tempo dove molte delle umane volontà vengono raccontate senza alcuna parola di troppo. Una caduta libera nel “distante” senza biglietto d’ingresso, prendetene e mangiatene tutti, questo è il mio orrore in dono per voi. La forza più grande di “For Ages” è quella di essere riuscito a reinventare la forza intrinseca di “More constant” e rivalutare alcuni passaggi prima leggermente sfioranti senza però surclassarlo sotto livello di qualità generale. 

Certamente il picco creativo della carriera dei nostri non sarà riscontrabile attraverso questo quarto album, ma è sicuramente apprezzabile l’intento di trovare nuove vie compositore che riescono ancora di più a fornirci un’idea della potenzialità del gruppo. I SubRosa sono una band che guarda avanti, senza mai lasciarsi indietro dei rimpianti, nella sua lunghezza e complessità sicuramente questo album merita la pena di essere vissuto, compreso e razionalizzato nella sua unicità.

“Gli uomini sono fatti in modo da doversi necessariamente tormentare a vicenda.” 

Fëdor Michajlovič Dostoevskij 

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