Recensione: Foreigner

Di Eric Nicodemo - 13 Ottobre 2013 - 13:12
Foreigner
Band: Foreigner
Etichetta:
Genere: AOR 
Anno: 1977
Nazione:
Scopri tutti i dettagli dell'album
85

1978- Stati Uniti…

Dopo lo scioglimento dei Black Sheep, Lou era disorientato e depresso: l’avventura lo aveva segnato negativamente e una vena di pessimismo aveva ottenebrato il suo cuore.
Tuttavia, non passò molto tempo che il ragazzo ricevette una telefonata inaspettata.
La chiamata era di un certo Mick che, in cerca di un cantante per la sua nuova band, lo invitava ad un’audizione a New York.
Incoraggiato ad accettare l’invito dal suo stesso gruppo, decise di partire alla volta della Grande Mela e, raggiunto Mick, si trovò catapultato in sala prove con in mano un paio di spartiti: sul primo campeggiava il titolo “Feels Like The First Time”. Mick, ex-chitarrista degli Spooky Tooth, e il provetto polistrumentista Ian McDonald lasciarono che il ragazzo cantasse e “Feels Like The First Time” prese vita…  
    

La tastiera allestiva una trama tenue, quasi lisergica, interrotta solo dalla voce suadente di Lou Gramm; i tasti delle keyboards indugiavano in un midtempo che dilatava lo spazio musicale mentre le parole del frontman avevano trovato la dimensione ideale per accrescere la tensione emotiva.
Jones rimase estasiato e capì che Lou era il cantante che avevano tanto cercato: nessun altro avrebbe potuto interpretare meglio la passione che ardeva nel testo di quella canzone, un sentimento così intenso e travolgente da sembrare nuovo e mai provato (come se fosse la prima volta…), tanto da rendere capace colui che ne soffriva di compiere l’impossibile ( …I would climb any mountain/ Sail across a stormy sea/ If that’s what it takes me baby/ To show you how much you mean to me… ).
Tuttavia, una volta che Lou entrò nella band di Mick, chiamata Trigger, non tutto fu rose e fiori: ogni qual volta presentavano il demo, la risposta delle case discografiche era sempre la stessa: «Mi dispiace ragazzi, ma non vedo ombra di capolavoro… lasciamo stare, ok?».

Ma il duo continuò a credere nella propria musica…
Così dopo innumerevoli peripezie, furono ingaggiati dalla Atlantic Records.
Le registrazioni iniziarono e, nella magica cornice di una New York innevata, Ian propose di iniziare la nuova canzone sulle note del piano: lo strumento insistente ricamava la tela melodica su cui la voce di Gramm avanzava e poi svaniva, lasciando ai synth il compito di modellare il suono, rafforzato da un climax chitarristico (discendente e ascendente) fugace ma incisivo; il main vox si stagliava sullo sfondo corale e le parole “ice” e “cold” venivano declamate in tonalità mutevoli e alternate; poi, lo stesso effetto si inseriva in una sessione ritmata e più sostenuta, plasmando la forma canzone grazie a un legame indissolubile tra strumenti e cantato. Nacque così la seconda track: “Cold As Ice”.

I ragazzi non sapevano dove stavano andando e consegnarono questo senso di inquietudine, misto alla speranza di un futuro radioso, al terzo brano dell’album, una canzone segnata dalla poesia di un flauto che si delineava in primo piano allorché la voce velata emergeva dall’armonia di una chitarra acustica: questo è il cielo musicale sul quale si elevò “Starrider”, nel crescendo trasognato dei playgrounds vocals, mentre una chitarra dai suoni languidi si insinuava e cresceva.
Jones era, però, consapevole delle sue radici rock, così decise di inserire una canzone sanguigna, intitolandola “Headknocker”; ascoltandola qualunque giornalista avrebbe esclamato: «E’ il coro delle asce il vero portavoce emozionale di Headknocker, in cui l’andamento acquista vigore e il titolo risuona con impatto e forza espressiva grazie a Gramm, sempre passionale e determinato».
Il tema amoroso rimase l’argomento predominante ma assunse mille sfumature: ecco che “The Damage Is Done” calava sull’ascoltatore con i suoni smorzati di batteria e chitarra, dominati dalle linee vocali evanescenti di un amore tormentato (Is there a reason/ For things that you say?/ The way you’re treating me… Ooh the damage is done/ And now I feel it’s too late…); la song era mutevole e mai statica: il plettraggio della chitarra si evolveva in un arpeggio e l’irrobustimento della ritmica sprigionava dinamismo e forza espressiva, un impeto che trova pace in un lento midtempo. Il contrappunto era un astuto espediente per caratterizzare la canzone e instaurare un stretto rapporto tra liriche e songwriting.
La sequenza tripartita di “The Damage Is Done” nacque dall’esigenza di Mick di forgiare un sound unico, da cui prese forma “Long, Long Way From Home”, dove il suono di un sax seduceva un basso incalzante: l’inserimento del sassofono coglieva impreparato l’ascoltatore e il torrido suono del blues si modulava, diventando, da grave e lontano, ad acuto e squillante (un’eredità che verrà tramandata a “Urgent”…).

Lo stesso sentimento, forte e contrastato, fu ripreso in altre canzoni.
“Woman Oh Woman” era il grido che scaturiva dalla sofferenza che consuma l’amante tormentato, le cui emozioni presero forma nei gentili rintocchi dell’arpeggio e diventarono vivide nel guitar work.
“Fool For You Anyway”, invece, mostrava una dimensione più intima ma non per questo meno dolorosa: l’acustica ad aprire ricreava un’atmosfera tenue con il main vox velato da infinita malinconia; ad un tratto, il canto riacquistava forza lanciandosi in un coro ardente.
La chiusura fu affidata ancora ai testi di Gramm che si sposavano perfettamente con le musiche di Mick, incentrate, ancora una volta, sulla sfera più intensa e passionale: “I Need You” si caricava con un robusto drumming intrappolato nelle suggestioni elettriche delle tastiere e acustiche della chitarra; Gramm si muoveva energico e deciso sul playground strumentale, soffermandosi per lasciar spazio ad un breve refrain, giocato sul basso e sul drumming; questo inframmezzo aveva il compito di ricreare lo scenario perfetto nel quale inserire l’escursione delle sei corde, potente, acuta, a volte frenetica, a volte, distorta e trascinata.

Il botta e risposta tra main vox e coro faceva risuonare ancora più intenso il desiderio, quasi mutando la richiesta in un imperativo irrefrenabile e irresistibile.  
Unicum della tracklist fu il soggetto di “At War With The World”, un manifesto di impegno e determinazione, che rivendicava la libertà del singolo nelle scelte di vita e, ovviamente, nel percorso sentimentale: la canzone, infatti, apriva le ostilità con un groove sanguigno, che si stemperava nella scala dell’hammond, rallentando per raccogliere tutto il vuoto disperato che pervadeva l’anima del combattente. La chitarra si vivacizzava in un guitar work stridulo e iterato, perfetta sintesi di un animo sofferente ma ancora indomito e combattivo.
A registrazioni concluse, Lou, Mick e Ian guardarono orgogliosi il loro lavoro, concretizzato in disco: da allora, si sarebbero chiamati Foreigner, per onorare le origini di Mick e di Ian e, cosa più importante, per consacrare la nascita di un’alleanza indissolubile tra l’eredità di albione e il rock a stelle e strisce.
Nessuno poteva immaginare quel che accadde in seguito: eletti dal Billboard 1#New Pop Artist, Mick, Lou e compagni affrontarono un lungo (e spossante) tour mondiale da headliner, intitolato Foreigner: Around The World In 42 Days. La kermesse si concluse a Londra, nel celebre Rainbow Teather.

Il successo al “botteghino” fu strepitoso: ben oltre 5 milioni di copie vendute! Non male per dei “novellini”.
«Ma qual è stato il più grande traguardo raggiunto?». Chiese David Fricke di Rolling Stone.  
Alla domanda, Ian rispose: «Creare una musica senza tempo, che venga vissuta dalle future generazioni e sopravviva nella memoria collettiva per sempre…».

Discutine sul forum nel topic dedicato ai Foreigner!

Ultimi album di Foreigner

Band: Foreigner
Genere: AOR 
Anno: 1977
85
Band: Foreigner
Genere:
Anno: 2011
80
Band: Foreigner
Genere:
Anno: 2009
85
Band: Foreigner
Genere:
Anno: 1995
80
4 4
4
Band: Foreigner
Genere:
Anno: 1981
94