Recensione: Forever is the World

Di Alessandro Calvi - 19 Settembre 2009 - 0:00
Forever is the World
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Anno: 2009
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58

I Theatre of Tragedy possono sicuramente essere annoverati tra i creatori del gothic metal come lo conosciamo oggi. Loro è stata, infatti, l’intuizione di accostare la voce femminile pulita e delicata con il growl maschile. Dai fasti degli albori, però, di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia. La defezione della storica cantante Liv Kristine sembrò far vacillare la band che è poi riuscita a riportarsi in carreggiata, a trovare una sostituta in Nell Sigland e ha far uscire il disco del ritorno: “Storm”. Un disco che, in realtà, aveva fatto storcere la bocca un po’ a tutti tra pubblico e critica a causa degli svariati inserti pop e dell’abbondante uso dell’elettronica. Con questo nuovo “Forever is the World” i Theatre of Tragedy sembrano aver fatto un passo indietro verso sonorità più familiari ai fan e al gothic che loro stessi han contribuito a creare.

L’album apre con “Hide and Seek”, canzone in cui tutti gli stilemi del genere vengono rispettati, ma al contempo presentati in maniera non noiosa e coinvolgente. La voce di Rohonyi, poi, non è più filtrata come nel precedente cd, ma sfodera un growl greve e convincente, perfettamente all’opposto di Nell, sempre limpida ed eterea.
“Chi ben comincia è a metà dell’opera”, dicevano i nostri nonni. Ma forse non è sempre così.
Con “A Nine Days Wonder”, infatti, i “Theatre of Tragedy” infilano una sequenza di brani decisamente poco convincenti. Lasciata da parte la voce maschile, la band si concentra sulla sola Nell come interprete delle composizioni divenendo, in pratica, una mediocre band gothic con voce femminile clone dei nomi più famosi della scena senza nulla da aggiungere. Da un gruppo con questa esperienza è difficile che escano canzoni brutte, ma banali, purtroppo, si. La ripresa di alcuni di quegli elementi pop che avevano contraddistinto, in peggio, il precedente “Storm”, poi, non aiuta di certo.
La ricomparsa della voce maschile in growl su “Hollow” sembra far rialzare le quotazioni del disco, ma è solo una falsa speranza. Sulla successiva “Astray”, infatti, non solo fa la sua comparsa l’elettronica, ma Rohonyi apre anche la traccia con una strofa in voce pulita, cadenzata e ritmata, quasi rap. Stile di cantato che poi ricompare più volte nella stessa canzone.
“Frozen” è l’ultimo brano a riproporre gli stilemi del genere creato dai Theatre of Tragedy. C’è la voce maschile in growl, c’è la voce femminile delicata, ci son le chitarre e ci son le partiture orchestrali neo-classiche, ma è un pezzo sterile, che ripropone questi elementi senza crederci veramente e che finisce solo per annoiare. Dopo questo, una lunga caduta nel pop e in un dark rock alla Evanescence in cui si sprecano le soluzioni già sentite. Fino alla naturale, e quasi agognata, conclusione.

I Theatre of Tragedy tornano a farsi sentire dopo il mezzo passo falso del precedente “Storm”. Le speranze dei fan di veder rinascere e riconquistare il posto che le spetta a una delle band che più hanno fatto la storia del gothic, però, rimangono deluse. Il gruppo che tanto ha influenzato il genere, si lascia influenzare dalla deriva di una corrente che fa della sola voce femminile e delle soluzioni easy-listening, praticamente pop con solo una vaga spruzzata dark, i propri cavalli di battaglia. Il rischio è che il disco finisca, oltretutto, per scontentare sia i metallari (per le linee melodiche troppo leggere che aleggiano su tutto il cd), che il pubblico mainstream (a cui potrebbero dar fastidio i due o tre inserimenti del growl), finendo per non trovare degli acquirenti a cui rivolgersi.

Tracklist:
01 Hide and Seek
02 A Nine Days Wonder
03 Revolution
04 Transition
05 Hollow
06 Astray
07 Frozen
08 Illusions
09 Deadland
10 Forever is the World

Alex “Engash-Krul” Calvi

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