Recensione: Forged by Fire

Di Leonardo Arci - 20 Novembre 2005 - 0:00
Forged by Fire
Band: Firewind
Etichetta:
Genere:
Anno: 2005
Nazione:
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78

Premetto di non aver ascoltato i precedenti due lavori di questa band greca capitanata da Gus G., ex membro di gruppi del calibro di Dream Evil, Mystic Prophecy e Nightrage, ma dopo aver ascoltato questo dischetto di sano heavy/power metal credo proprio che non mi lascerò scappare l’occasione di procurarmi l’intera discografia di questo combo, piacevolissima sorpresa per il sottoscritto, troppo preso ultimamente da impegni che poco hanno a che fare con questa grande, bellissima passione che è l’heavy metal. Il gruppo dà alle stampe questo nuovo prodotto presentando in formazione una new entry che si dimostrerà, come avrò modo di dirvi in seguito, un vero valore aggiunto per questa band: dietro al microfono non troviamo più Stephen Fredrick, rimpiazzato dall’ugola di Chity Somapala, dotatissimo e carismatico singer dello Sri Lanka (il quale non fa più parte della band, sostituito di recente dal greco Apollo Papathanasio).

Inizio subito col dire che la prova di tutta la band risulta essere pienamente convincente, tutti i componenti dimostrano perizia tecnica indiscutibile, tra l’altro già ampiamente dimostrata nelle collaborazioni che li hanno visti protagonisti in passato, e apprezzabile gusto per le melodie sebbene il suono lungo tutto il disco appare compatto, aggressivo, sanguigno, a volte grezzo (con vaghe venature thrash) grazie ad un costante uso delle chitarre, vere protagoniste di questo lavoro. Come detto all’inizio, nota di merito va alla voce del nuovo singer, molto vicino per timbrica e linee vocali utilizzate a mostri sacri dell’hard rock ottantiano (penso a Ronnie Jame Dio), ma capace di offrire una prova più che convincente anche nei pezzi più heavy oriented.

Il cd parte alla grande con la (relativamente) breve ma devastante Kill to live, azzeccato biglietto da visita in puro stile power compatto e veloce, con una struttura ritmica possente e melodica dal forte appeal live, grazie anche alla prestazione del vocalist, davvero caldo e passionale nella interpretazione che offre. La successiva Beware the beast è caratterizzata da un riffing molto catchy e potente che rende tutta la traccia aggressiva ma melodica, soprattutto nel bridge e nell’orecchiabile chorus centrale, con forti influenze del metal teutonico anni ’80; infatti, più volte lungo tutta la durata della traccia questi ragazzi mi hanno riportato alla mente i Running Wild.  Tyranny presenta un coro di impatto, facilmente memorizzabile, in cui spicca la prova del singer, autore di una prestazione coinvolgente, emozionante e piena di pathos. The forgotten memory  parte con un graffiante e roccioso riff di chitarra che ci conduce ad un chorus dove i ritmi scendono per farci assaporare melodie suadenti e romantiche, ma quando ci sembra di aver capito dove il gruppo vuole andare a parare ecco che i ritmi si alzano nuovamente, merito anche di una sezione ritmica imprevedibile e geniale. Hate world hero è la classica ballad nella quale l’uso delle chitarre ci riportano a certe produzioni targate Scorpions, mentre la voce risulta impostata sui canoni tipici dell’hard rock ottantiano, facile intuire certe somiglianze con Dave Coverdale. Si tratta tuttavia di una canzone godibile ma scontata che non eccelle né per originalità né per senso melodico. Escape from tomorrow mi ha ricordato certe canzoni dei Primal Fear, la traccia ha dei continui cambi di tempo che la rendono imprevedibile e gustosa, una vera perla di heavy veloce e complesso nel riffing portante. Se vogliamo fare un appunto, possiamo dire che probabilmente la band avrebbe potuto articolare meglio il chorus centrale, a mio avviso rischia di apparire monotono e banale. La strumentale Feast of the Savages è una traccia piuttosto complessa ed articolata, mi ha ricordato molto i Savatage (uno dei miei gruppi preferiti) per gli assoli e per certi cambi di ritmo. Questa song vede la partecipazione in qualità di guest musician di Marty Friedman, ex chitarrista dei Megadeth. Burn in hell esordisce con un esplosivo riff di chitarra e prosegue su tempi piuttosto cadenzati, valido e impeccabile è il solo di chitarra a metà traccia, interrotto dal bridge che anticipa un coro affidato all’ugola di Chity che qui mi ha ricordato Jeff Scott Soto. Perished in flames sembra idealmente proseguire il percorso tracciato dalla traccia precedente, anche qui infatti i ritmi sono decisamente lenti, trattasi un mid tempo caratterizzato da un costante e graffiante riff di chitarra e da un chorus semplice ma catchy. Il disco si conclude con Land of eternity, un altro lento caratterizzato da un arpeggio di chitarra piuttosto pulito (merito di una produzione perfetta) che delinea atmosfere evocative e romantiche, forse la canzone fila via in modo leggermente impersonale e monotona rispetto al resto della tracce presenti su questo lavoro, tutto sommato si tratta di una canzone valida e gradevole, a metà strada tra certi lenti degli Scorpions e  le ballads tanto care ad Axel Rudi Pell.

Si tratta di un disco suonato alla grande, con cuore, grinta ed ispirazione, curato nei minimi dettagli in modo professionale, anche grazie ad arrangiamenti azzeccati e ad una produzione precisa e competente. Non siamo di fronte a nulla di innovativo, ma poco importa, qui dentro c’è tutto quello che un disco di heavy rock dovrebbe contenere, ce ne fossero uscite di questo livello!

Leonardo “kowal80” Arci

Tracklist:
1.Kill To Live
2.Beware The Beast
3.Tyranny
4.The Forgotten Memory
5.Hateworld Hero
6.Escape From Tomorrow
7.Feast Of The Savages
8.Burn In Hell
9.Perished In Flames
10.The Land Of Eternity

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