Recensione: Formed In Disgust

Di Giuseppe Casafina - 22 Marzo 2016 - 14:00
Formed in Disgust
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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70

Il mondo della musica è un mondo duro, e quello del suono metallico che noi tutti amiamo, purtroppo non fa eccezione.

La ragione è semplice: ci sono realtà musicali che all’apparenza sembrano avere poco spessore, buttate in mezzo alla mischia come un qualsiasi ‘complesso della piazza’ solo perché ad una prima impressione non esattamente innovative, ma con una capacità spiccata di fare terribilmente bene quello che fanno.

E’ il caso di questa formazione proveniente dal North Carolina, Stati Uniti, al secondo disco con questo “Formed in Disgust” che esce, neanche a dirlo, su Comatose Music: il ‘neanche a dirlo’ si basa sul fatto che la stessa etichetta è di proprietà di Steve Green, leader e master mind di questo delicato ensemble di ‘suini’ scatarranti .

Ma ciò non deve per forza di cose essere un punto a sfavore di questi simpaticoni, dato che gli Atrocious Abnormality, formazione dal monicker tranquillizzante come pochi e vera enfasi del feticcio per i fanatici della bellezza e della salute, sono decisamente validi: il loro è un brutal death certamente canonico, inutile pertanto aspettarsi qualcosa di nuovo sotto il sole, specialmente dopo che vedi una copertina così di buon gusto (….a proposito, ma cosa diamine è quel coso?)  e capisci subito dove questi macellai degli strumenti a corda andranno a parare.

Quindi, eccoci di nuovo al cospetto di un sano headbanging da macelleria, ma di quello fatto bene sul serio: perché è anche vero che questa ‘Atroce Anormalità’ sarà anche poco originale in quello che vomita dalle casse, ma è anche vero che i vostri padiglioni godranno indubbiamente all’ascolto di un platter come “Formed in Disgust”.

 

Il riffing è negli standard del genere, ma questa volta i noti tecnicismi strumentali, che spesso risultano indigesti ai più, qui non vengono mai esasperati in quanto il songwriting appare secco, levigato: in una parola, saldo. Unendo il tutto alla durata mai eccessiva dei pezzi (sempre sotto i 4 minuti, in media si viaggia attorno su brani di durata inferiore ai 3 minuti), avremo tra le mani un disco di una realtà musicale di caratura ‘normale’ che vanta comunque al proprio arco la freccia vincente di saper rendere la propria opera dell’orrido (è pur sempre Death Metal) stranamente fruibile anche a chi di brutal death/slam gore digerisce ben poco.

Intendiamoci, non è che i Nostri siano ‘easy listening’ anzi, perché il brutal death non è certo una roba da compilation del Buddha Bar: piuttosto, le caratteristiche del genere ci sono tutte, i brani pestano duro, il riffing è serrato come si deve anche se invero poco originale, il drumming disumano come ‘da tradizione‘….e soprattutto, dietro al microfono c’è il classico ‘suino’ (permettetemi quella classica definizione), con tanto di occasionali vocals in scream ad accompagnarlo in alcune fasi dei pezzi, giusto per sentirsi meno soli (- badate che la mia ironia è del tutto spontanea e non vuole mai essere offensiva, diciamo che quando il sottoscritto ha a che fare con un disco brutal viene spontaneo usare questo tono –  Nda)….

 

Il problema più grosso di un disco ‘normale ma sorprendente’ come questo è essenzialmente uno: mancano gli highlight, quei brani portanti che marchiano a fuoco la tracklist di un album a prescindere dal genere suonato. Il disco è senza picchi particolari infatti, il tutto scorre deciso ma pacchiano, quasi ‘tranquillo’, ed è una sensazione che cresceva man mano che procedevo con gli ascolti; da contraltare quindi, non bastano certo le sfuriate delle strofe di “The Inevitable Undoing” oppure gli Stop n’ Go di “Storm Of Ash” per convincermi del contrario, così come non bastano nemmeno quei bizzarri campionamenti usati di rado nell’album, soprattutto quello, brevissimo, di pianoforte sul finale del disco, una vera raffinatezza ( – e poi magari quello che ironizzerebbe troppo sul brutal sarei io, vero? – Nda)!

Considerando quindi quanto detto finora, direi che dietro a tanta ‘geniale normalità’ un voto adeguato sarebbe un diplomatico 7: è un disco comunque pregevole che nel suo genere ha la qualità non rara di essere un eccellente apripista per i neofiti grazie alla durata non eccessiva e alla struttura dei pezzi sempre ponderata, ma paga il difetto di essere troppo costante a livello di sussulti.

Se i Nostri fossero stati ‘normalità e basta’ certamente non avrebbero superato una stentata sufficienza, e per fortuna ciò non è assolutamente il loro caso, risultando anzi autori del classico disco ben fatto che ascolti con piacere tra un vecchio classico e magari un masterpiece di estrazione più recente.

Insomma, potevano chiamarsi “Atrocious Normality”.

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