Recensione: Forsaken Symphony

Di Daniele Balestrieri - 23 Maggio 2009 - 0:00
Forsaken Symphony
Band: Sear Bliss
Etichetta:
Genere:
Anno: 2009
Nazione:
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79

C’era una volta, nell’Ungheria del 1993, un giovane András Nagy con un sogno: creare un progetto black metal che omaggiasse i grandi maestri scandinavi senza diventarne l’ennesimo scimmiottamento. Sedici anni dopo, con sei album già in saccoccia, i Sear Bliss possono considerarsi una delle tante “grandi band sconosciute” che proseguono per il loro cammino sfornando lavori di alto livello pur rimanendo ai margini della grande macchina mediatica e promozionale dell’Europa occidentale.
Il loro ultimo album, The Arcane Odyssey, si è già distinto per la sua ricercatezza e finezza compositiva, ma stavolta bisogna fare un passo indietro. Forsaken Symphony è infatti datato 2002, ma in questo primo scorcio del 2009 questo piccolo capolavoro è stato ripescato, ripulito da niente meno che da Dan Swanö (Dissection, Katatonia, Opeth…) e riimmesso sul mercato. Eravamo abituati a dei Sear Bliss pomposi, altisonanti e decisamente epici, ma con il ritorno trionfale dell’ex chitarrista Csaba Csejtei, i nostri cinque Pannoni volgono lo sguardo al passato, ai tempi di Phantoms per intenderci, per iniettare della nuova linfa true black al già collaudato sistema epico melodico che li accompagna ormai da una decade.

Ancora una volta è il ‘concetto’ a brillare, prima ancora della musica. L’album racconta storie di guerra e di mito strettamente provenienti dalla tradizione ungherese; in particolare torna in copertina – e in una raggiante “She Will Return” – la dea della natura attorno alla quale ruota ben più di un album e che in questo Forsaken Symphony incontra una morte cruenta in cima a un rogo. Musicalmente hanno ancora una volta motivo di eccellere: lo scream black, mai troppo aggressivo, fa da cornice ideale alle grandi epopee di chitarre e percussioni martellanti intervallate, o per meglio dire accompagnate, da tastiere, brevi inserti di chitarra e flauti eterei che amalgamano il suono fino a farlo diventare una specie di risacca in perfetto stile Summoning.

Il lavoro risulta così evocativo e pomposo ma allo stesso tempo ipnotizzante come un disco ambient, senza lesinare momenti tragici e introspettivi come il terribile finale dolceamaro di “When Death Comes“. Ancora una volta artefice di atmosfere tetre e al temo stesso quasi siderali è l’ottimo lavoro del trombone di Zoltán Pál, marchio di fabbrica dei Sear Bliss e principale fautore del loro successo sia nell’underground che a fianco del mainstream europeo. L’uso dei fiati è unico e ben calibrato, e l’aggiunta di qualche traccia supplementare di tuba rende ancor più colossale l’impatto di Forsaken Symphony.

Certo non è un album immediato: al primo ascolto è facile percepire la magnitudo di questa travolgente opera eroica, ma ci vuole un po’ di tempo per apprezzarne le fini cesellature e i piccoli tocchi di classe che ornano questo ripescaggio al quale seguirà il remaster del seguito, Glory and Perdition.
A prescindere dall’uso di trombone e tuba, l’album in realtà non si discosta troppo dalla grande produzione black-sinfonico europea capitanata dai sempreverdi Dimmu Borgir. Tuttavia i Sear Bliss si trovano su uno scalino completamente diverso; la sinfonia viene utilizzata per trascinare lentamente l’ascoltatore in un turbine di leggende e misteri, senza necessariamente stordirlo con un muro sonoro devastante e fine a se stesso. Anche se non brilla eccessivamente per originalità e anche se talvolta può risultare leggermente pesante, Forsaken Symphony è un disco che merita ben più di un minuto di attenzione.

Daniele “Fenrir” Balestrieri

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TRACKLIST:

1.Last Stand
2.My Journey To The Stars
3.She Will Return
4.The Vanishing
5.The Forsaken
6.When Death Comes
7.Eternal Battlefields
8.Enthralling Mystery
9.The Hour Of Burning

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