Recensione: Free The Beast

Di CirithUngol - 26 Maggio 2004 - 0:00
Free The Beast
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Anno: 1998
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78

Cult band per eccellenza, gli Slauter Xstroyes si ritagliarono un piccolissimo spazio all’interno della storia del metal dando alle stampe del 1985 il favoloso “Winter Kill”, eccezionale esempio di particolarissimo dark / epic metal lontano anni luce da quello che oggi si attribuisce a tali termini.

Correva l’anno 1986 quando gli Slauter Xstroyes si misero al lavoro per dare un seguito al loro bellissimo esordio. Sfortunatamente i brani che dovevano dar vita al loro secondo capitolo, non videro mai la luce a causa dell’improvviso scioglimento del gruppo. Ci ha pensato nel 1998 la Monster Records che oltre a ristampare il loro megararo esordio, comprò i diritti per dare finalmente vita a questo leggendario Free The Beast. L’intricate trame del precedente Winter Kill vengono in questo disco amplificate in maniera disumana creando un lavoro assolutamente non assimilabile se non dopo numerosissimi ascolti. Vi posso garantire che al primo approccio vi troverete di fronte un lavoro che vi lascerà senza parole, in maniera positiva o negativa a seconda dei vostri gusti musicali. Se amate la nuova andata di doppia cassa con cori di facile assimilazione questo disco non fa per voi. Evitatelo come la peste. Se amate il metal in tutte le sue forme con un occhio di riguardo per le formazioni americane che negli anni ottanta infestavano l’underground, questo disco deve essere vostro.
Assolutamente privo di melodie assimilabili ad un primo ascolto, caratterizzato dalla quasi totale assenza dello schema classico “strofa ritornello strofa” questo lavoro è sicuramente uno dei più ostici che mi sia mai capitato di ascoltare. Se aggiungiamo che il cantato è contraddistinto da un falsetto delirante molto più accentuato di quello di King Diamond, vi renderete conto con che primate abbiamo a che fare. Quello che vi posso garantire è che dopo aver superato le prime difficoltà vi troverete di fronte un lavoro splendido che non vi annoierà mai, neanche dopo ripetuti ascolti.

L’epic /dark dell’esordio è ancora molto presente ma a prevalere sul tutto questa volta sono i miliardi di cambi di tempo e di atmosfera disseminati lungo queste 12 tracce. Durante l’ascolto, oltre a riff tipicamente heavy metal, vi imbatterete in sfuriate speed con puntatine neanche troppo rare nel thrash, per poi veder tornare momenti più classicamente epic. Esempio di tutto questo lo possiamo trovare durante i quasi 10 minuti di Metal No Sin dove un bellissimo ritornello epic viene contornato da una miriade di cambi di tempo. Tutti i componenti hanno una preparazione tecnica sicuramente sopra la media, tecnica che comunque non viene mai usata per stupidi virtuosismi fini a se stessi. L’iniziale title track è caratterizzata da un nervosissimo druming di Dave Bonow su cui il singer John Stewart si esibisce forse nel cantato più lancinante ed ostico dell’intero lavoro. Canzone di difficile impatto che personalmente non avrei posto in apertura. Con la successiva Blood in the Streets rimaniamo su territori articolatissimi ma leggermente più accessibile per via di un cantato più in linea con il precedente lavoro. Wicked Bitch mantiene caratteristiche indiavolate ma all’altezza del chorus un ritmo al galoppo funge da accompagnamento per un grandissimo ritornello tipicamente epic metal che farà la gioia degli amanti di queste sonorità. Spettacolare il mid tempo di NSZ 190 forse la canzone più accessibile dell’intero lavoro ( nei limiti consentiti dagli Slauter Xstroyes) dove ancora una volta è un ritornello perfetto a farla da padrone. Father Than Yesterday è sicuramente la mia preferita non che la più canzone più epica. Grandissimo il riffing che la contraddistingue con un cantato veramente eccezionale con il suo alternarsi di parti “normali “ ed altre più tirate.

Ogni canzone meriterebbe un commento, ma anche cercando di vivisezionarle una ad una non riuscirei a mettere per iscritto quello che questo sconosciuto gruppo a saputo creare in un’epoca dove per emergere era ancora necessario riuscire a distinguersi dalla massa e non come oggi, che per assicurarsi un contratto basta emulare il gruppo del momento. Consiglierei di iniziare il vostro rapporto con gli Slauter Xstroyes dal bellissimo Winter Kill, disco sicuramente più accessibile che vi aiuterà a capire l’ostilità di questo Free The Beast.

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