Recensione: Freedom Slaves

Di Nicola Furlan - 20 Marzo 2012 - 0:00
Freedom Slaves
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Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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72

L’omonimo esordio discografico dei friulani Freedom Slaves esce dopo otto anni dalla nascita della band stessa e dopo un paio di demo pubblicati. Ferma restando la superficialità concettuale che necessariamente si nasconde nell’azione di etichettare un genere, il gruppo suona una sorta di progressive metal o, se preferite, un heavy metal tecnico debitore di quanto interpretato da band che, nel corso degli utlimi anni, hanno fatto leva sulla ricercatezza compositiva per dar vita ad un sound sofisticato e imprevedibile. I nomi che ci sentiamo di citare, come probabile fonte di ispirazione, sono del calibro di Fates Warning, Queensrÿche e Dream Theater (quelli dei primi album), ma sono meramente indicativi nonché sufficienti per l’idea che aleggia sui pentagrammi di questo debutto discografico dell’esemble di Gemona del Friuli.

Ogni pezzo è comunque caratterizzato da strutture compositive importanti, varie nelle ritmiche e invogliate dalle melodie che permeano l’intero lotto. Ogni brano, infatti, si distingue dagli altri, sintomo di un’ispirazione notevole. Il songwriting, in generale, gode di una ricchezza di contenuti in grado, non solo di definire la caratteristica del sound concepito dalla band, ma pure di garantire, con buona probabilità, un futuro artistico di rispettabile carattere. Complice di questa bontà musicale è di certo lo spessore tecnico dei musicisti in oggetto. Tutti i cinque ragazzi se la cavano alla grande con il proprio strumento, in particolare spiccano per l’ottimo lavoro svolto i due chitarristi David “Pere” Bressani ed Edoardo Bortolotti. Ebbensì sì, senza esagerare, possiamo affermare che questa band ha davvero due grandi interpreti delle sei corde, punto di forza solidissimo di questo “Freedom Slaves”. Il duo è artefice di soli pregevoli e di arrangiamenti raffinati, sopratutto nei pezzi lenti che, paradossalmente, sono i punti di forza di un disco che presenta pure validi colpi d’impeto. Sono meritevoli di citazione anche i ritornelli, così come le sfumature legate all’operato del basso per mano di Stefano “Stiz” Galioto, autore di arrangiamenti considerevoli. La voce convince a tratti. Il cantante Daniel Marco Celotti osa troppo in molti passaggi. L’obiettivo sarà stato di certo quello di dare il massimo, ma il rischio corso, non di rado, è stato quello di superare il proprio ‘auto-controllo’ tecnico a livello di dinamica, sopratutto sugli alti. Nulla di grave, non sembrano esserci particolari problemi. Il sospiro di sollievo si tira all’ascolto di Changes su cui il cantante viaggia alla grande, inaspettatamente. La prova è perfetta e convincente. Nostra impressione…
A livello compositivo, verrebbe da fare una osservazione relativamente ad alcuni passaggi ritmici che, talvolta, sopratutto nei frangenti più ‘progressive’, appaiono un po’ legnosi e poco morbidi o forse appaiono tali proprio perchè limitati da un missaggio poco avezzo a ricreare una sensazione di ‘ascolto d’insieme’. Diciamo che il tutto appare, non di rado, a livello meramente produttivo, disgiunto a causa di una produzione appunto poco corposa, con qualche riverbero di troppo. Risultato? Le idee ci sono. Il suono, per come arriva all’ascoltatore, manifesta discontinuità. Oltre ai limiti già citati, un ulteriore appunto è da farsi, sempre in relazione alla scelta produttiva in studio, a chitarre troppo ‘gracchianti’.

In definitiva, “Freedom Slaves” è un disco di qualità che evidenza l’esclusività compositiva di questo intrigante esemble friulano. Sintetizzando, possiamo affermare che i picchi di qualità toccati nel songwriting grazie al lavoro alle chitarre sono un punto saldo per il futuro. Un più fine controllo delle dinamiche vocali e una produzione mirata ad enfatizzare la robustezza delle strutture ritmiche, già di per loro importanti, potrebbero essere i punti da analizzare per smussare le asperità che ombreggiano la brillantezza di questo buonissimo lavoro. C’è giusto quel qualcosa da ammorbidire e da curare con più attento tocco… Per il resto: complimenti!

Nicola Furlan

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Tracce:
01. The Prophet
02. Pain 04
03. Ashes of Today
04. A Life
05. Say Goodbye
06. Today Will Never Say
07. Changes
08. Four Days
09. Promises You Need.

Durata: 52 minuti ca.

Formazione:
Stefano “Stiz” Galioto: Basso
Andrea “Cret” Cretese: Batteria
David “Pere” Bressani: Chitarra
Edoardo “Edo” Bortolotti: Chitarra
Daniel Marco Celotti: Voce

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