Recensione: Freesia

Di Damiano Fiamin - 3 Febbraio 2014 - 15:24
Freesia
Band: Picea Conica
Etichetta:
Genere: Sludge 
Anno: 2013
Nazione:
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67

Non possiamo comprendere a fondo il progetto dei Picea Conica senza conoscerne la storia. Una sommaria analisi dei dati biografici sembrerebbe indicare semplicemente un gruppo esordiente, nato all’inizio del 2012 a Forlì, che ha cominciato a muovere i primi passi nel mondo della musica dando alle stampe un primo demo e avviando un’attività live intensa ma non certo frenetica. In realtà, studiando con più attenzione la biografia della band, prendiamo coscienza di alcune sfaccettature che ci permettono di inquadrare quanto ci apprestiamo ad ascoltare in un’ottica diversa: sebbene il debutto dei nostri sia recente, altrettanto non si può dire dei rapporti umani che intercorrono tra i due (più uno) membri dei Picea Conica. Parliamo, infatti, di un’amicizia ventennale, nata e prosperata sotto l’egida di Euterpe, una passione per la musica che non si è certo affievolita con il passare degli anni ma, anzi, ha spinto i due musicisti a dar vita a questo nuovo progetto musicale. Oltre che a Fritz e Theo, questo disco deve la sua genesi anche a Paolo, organizzatore e motore della band, attivo anche in fase di scrittura.

Per quanto riguarda l’aspetto più squisitamente musicale, il terzetto attinge a piene mani da una pletora di fonti d’ispirazione variopinte, che spaziano dall’heavy più classico al noise, passando per l’industrial. Un bel macello, penserete; cosa può venir fuori da un minestrone culturale così disparato? Prendendo, frullando e mischiando, i Picea Conica riescono, con questo Freesia, a condensare così tanti ingredienti diversi e a dar vita a un prodotto interessante, un disco essenziale, secco, di non facile classificazione. Sludge? Noise? Post-qualcosa? A mio avviso, le etichette dovrebbero servire solo per verificare gli ingredienti del pranzo e non per ingabbiare, svilendo, un prodotto artistico. Nel caso decidiate di inserire il disco del terzetto romagnolo nel vostro stereo, dalle casse emergerebbero otto tracce fredde, scabre e meccaniche, un concentrato di tecnica mai fine a se stessa. L’offerta artistica del combo padano è decisamente minimalista, un’assenza completa di fronzoli od orpelli di alcun tipo, scelta stilistica che si ripercuote nell’interezza del prodotto, dal layout grafico alla confezione.

L’apparente repulsione verso qualsivoglia artificio che vada oltre l’essenziale non pare essere dovuta all’incapacità degli esecutori. Questi ultimi, infatti, sono decisamente a proprio agio mentre danno vita alle sonorità abrasive e grezze che caratterizzano l’ottetto di brani strumentali, sicuramente ben calibrate ed eseguite; nulla di trascendentale, di sicuro, ma è evidente che era proprio questo il risultato cercato.
Sono necessari vari ascolti prima di capire Freesia nella sua interezza. Sicuramente, non ci troviamo di fronte a un disco che si lascia assimilare rapidamente; le note sono sassi che ci piombano dentro e sfregano l’un sull’altro a lungo prima di farsi digerire. Alla fine, paradossalmente, il punto di forza di quest’opera si rivela anche essere il suo tallone d’Achille: l’asciuttezza della produzione non permette, infatti, alcun lampo d’estro particolare. Ci troviamo davanti a un disco ben suonato, interessante, ma che non si distingue in maniera particolare da quanto è possibile ascoltare in giro. Forse, qualche piccola concessione in più alla follia artistica avrebbe portato giovamento.

È plausibile pensare che i nostri tre amici non abbiano mai avuto intenzione di fare un disco storico e che Freesia sia semplicemente un modo di divertirsi facendo qualcosa di bello insieme. In questo caso, l’obiettivo è pienamente centrato visto che, è bene ribadirlo, il CD non è affatto male; ci sono produzioni commerciali di livello decisamente inferiore. Nel caso si voglia trasformare questo divertissement in qualcosa di più redditizio, però, i nostri dovranno fare qualcosa di più per personalizzare la propria offerta musicale. Sicuramente, una decisione del genere richiede un tempo e una dedizione maggiore, un investimento di risorse da ponderare con attenzione. Quale che sarà il futuro, una cosa è certa: i tre romagnoli possono ritenersi soddisfatti di quanto fatto fino a questo momento.

Damiano “kewlar” Fiamin

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