Recensione: From the Cradle to the Stage

Di Matteo Lavazza - 17 Novembre 2004 - 0:00
From the Cradle to the Stage
Band: Rage
Etichetta:
Genere:
Anno: 2004
Nazione:
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95

20 anni di carriera non sono pochi, soprattutto per una band come i Rage, che col suo Metal troppo cattivo per essere Power, e troppo melodico per essere Thrash, non ha mai trovato una collocazione ben definita nel panorama musicale, ma col tempo questo è diventato uno dei punti di forza del gruppo, che con questo “From the Cradle to the Stage” celebra proprio il ventennale di attività.
Dal vivo la band è sempre stata di una compattezza impressionante, soprattutto la “nuova” formazione, che, oltre al mastermind Peavy alla voce ed al basso, comprende due veri e proprio mostri come Viktor Smolski alla chitarra e Mike Terrana, uno dei batteristi più potenti di tutta la scena Metal, e l’inizio di questo doppio live non fa che confermare la potenza che la band sprigiona sul palco, dopo l’intro “Orgy of Destruction” il gruppo aggredisce subito i presenti allo Zeche di Bochum con una devastante versione di “War of Worlds”, seguita a ruota dall’altrettanto cattiva “Great Old Ones”, entrambe tratte dall’ultimo album “Soundchaser”.
In pratica in questi due cd i Rage ripercorrono tutta la loro storia, andando a pescare anche un brano dei pre-Rage Avenger, cioè la bellissima, anche se rozza, “Prayers of Steel”, ma il vero piatto forte del disco sono i classici che il combo tedesco, anche se ormai sono una band internazionale, cioè canzoni come “Firestorm”, la splendida “Sent by the Devil”, “Enough is Enough”, la nuova ma spettacolare “Soundchaser”, la cattivissima e melodica “Refuge”, quella “From the Cradle to the Grave” che su disco e con l’orchestra aveva fatto storcere un po’ il naso ai fans di vecchia data, ma che qui, riarrangiata opportunamente, diventa davvero maestosa, la violenta “Black in Mind”, poi i veri superclassici, cioè “Solitary Man” e “Don’t Fear the Winter”, ed in chiusura la ruffiana “Higher than the Sky”, reclamata a gran voce dal pubblico presente.
Uno dei punti di forza di questo album è quello di essere un VERO disco dal vivo, cioè senza sovraincisioni e modifiche varie in studio, lo si capisce dai piccoli errorini che si sentono qua e la, ma soprattutto da come Peavy canta su “Invisibile Horizon”, cioè prendendo più di una stecca con la voce, ma il fatto che questi errori siano rimasti sono solo un segno di forza da parte del gruppo, che non ha nulla da nascondere.
Altro punto di forza sono i nuovi arrangiamenti di cui godono i vecchi pezzi, in grado di donare vitalità e nuova forza a canzoni che hanno anche parecchi anni sulle spalle, arrangiamenti resi possibili anche dalle impressionanti capacità tecniche del duo Smolski-Terrana.
I suoni sono davvero encomiabili, molto “live” come resa, ma anche puliti e potenti, con il pubblico che riesce sempre a ritagliarsi il suo spazio, com’è giusto che sia in un disco dal vivo.
Tecnicamente, come ho già più volte detto, la band è assolutamente impressionante, a parte Peavy, onesto bassista e cantante, forse non in possesso di una grande tecnica ma con un carisma che vale mille volte di più. Parlando proprio della tecnica sono da segnalare gli assoli di chitarra e batteria presenti, cioè, nell’ordine, “Rocket Science” e “Anarchy”, che più che assoli sembrano quasi canzoni vere e proprie, grazie proprio alla tecnica dei due musicisti, che riescono a sfoggiare passaggi incredibile ma con l’orecchio sempre rivolto alla melodia, con una musicalità davvero impressionante.
Non smetterò mai di sostenere che i Rage, nonostante il discreto successo che ormai hanno, sono uno dei gruppi più sottovalutati della storia del Metal, una band che ha sfornato grandissimi dischi e soprattutto grandi concerti, e credo che questo doppio live possa essere un ottimo modo per conoscere la loro proposta, mentre per chi già li conosce, e li apprezza, questo disco è invece un ottimo modo per prepararsi all’imminente tournee italiana, oltre che per sentire come rendono le vecchie canzoni riarrangiate e rimesse a nuovo, insomma un album che secondo me dovrebbe trovare posto in ogni discografia che si rispetti.

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