Recensione: From the Solitary Woods

Di Vladimir Sajin - 20 Giugno 2017 - 0:01
From the Solitary Woods
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2017
Nazione:
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I Buttered Bacon Biscuits nascono nel 2008 dall’incontro di musicisti provenienti dell’ambiente faentino e forlivese. La band è composta da Ricky Dal Pane alla voce e chitarra, Alex Celli alla chitarra, Alessandro Aroni al basso, Antonio Perugini alla batteria e Stefano Olivi alle tastiere. Solamente un anno dopo, nel 2009, i Nostri danno alle stampe il loro primo e ahimè unico album, intitolato “From the Solitary Woods”, oggetto della nostra recensione. Il disco viene accolto molto positivamente sia dalla critica che dal pubblico, ottenendo eccellenti recensioni su note testate italiane ed estere, portandoli ad esibirsi live sul prestigioso palco del Frogstock Festival come supporto italiano a formazioni del calibro di Uriah Heep e Jethro Tull. Il lavoro venne poi acquisito e distribuito dalla Black Widow Records. Alla fine del 2010 alla batteria subentra Andrea Palli (ex Bad Ambition) e con quest’ultimo i Buttered Bacon Biscuits (B.B.B. d’ora in avanti n.d.r.) iniziano la stesura dei nuovi brani. Divergenze personali e di vedute tra alcuni membri della band portano, però, allo scioglimento e, per volontà di Ricky Dal Pane, alla nascita di un nuovo progetto musicale ribattezzato Witchwood. Con questo monicker siglano un contratto discografico con la Jolly Roger Records. La nuova label, inoltre, decide di ristampare il loro primo lavoro modificando la copertina e cambiando l’ordine originale di alcune tracce. Così, nella prima metà del 2017, ci troviamo la nuova e fresca pubblicazione di un album che strizza l’occhio alle origini dell’hard rock. Diciamo subito che la proposta musicale è un perfetto mix tra Uriah Heep, Deep Purple e Jethro Tull con sfumature del classico southern e stoner rock. Per chi, leggendo questi nomi iconici del rock, alzasse le sopracciglia, anticipo dicendo che il risultato finale è tutt’altro che scontato. I Ragazzi di Forlì sembrano nati nelle lande desolate del Texas o Louisiana piuttosto che nelle praterie dell’Emilia-Romagna. Il sound risulta “vissuto” e trasmette calore e l’emozione di chi sa il fatto suo, perché è il prodotto di ciò che gli scorre nelle vene. Ma andiamo per ordine e analizziamo meglio questo curioso lavoro.

 

Appena mi è stato spedito il materiale, leggendo il nome “Buttered Bacon Biscuits”, oltre che strapparmi un sorriso, mi ha subito fatto pensare al libro di Charles Bukowski “Panino al Prosciutto”. All’inizio, ovviamente, per la sola somiglianza lessicale. Poi però, già dalle prime note e leggendo i titoli delle canzoni, ho cominciato ad intuire che la somiglianza non era puramente verbale bensì, e soprattutto, concettuale. E vi spiego il perché facendo un parallelismo metaforico e letterario con la musica. Già dal titolo del primo brano è facile intuire dove si voleva andare a parare. ‘Losin’ My Pride’, con un intro hard rock blueseggiante, secco e diretto, ci riporta alla mente quei romanzi antiretorici e antieroici che creano l’inevitabile confronto con modelli “negativi”, raccontando la cruda realtà della vita, priva di fronzoli e cedimenti lirici, dove il dialogo è vivo e diretto e lascia sbigottiti i “malcapitati” lettori. Come nel libro di Bukowski, già dalle prime note di “From the Solitary Woods” si ha a che fare con sonorità dirette e grezze, come la vita stessa dei comuni mortali, come si suonava una volta, appunto. Perché non si tratta solamente di fare più rumore o cantare a squarciagola, ma di viverlo concettualmente. L’orgoglio viene perso come la verginità di un fanciullo, con una vita randagia e pericolosa tra stanze in affitto, risse, birre, vino e whisky. Viene sostituito dalla maturata consapevolezza che nasciamo e moriamo da soli, e scontrandoci con la dura verità della vita, l’orgoglio non è che la debolezza che rischia di farti molto male, se non addirittura ucciderti. Tale consapevolezza arriva spesso improvvisamente, come un pungo in faccia, come un segreto che sembrava essere alla luce del sole, che scopriamo invece solamente bruciandoci, “Another Secret In The Sun” appunto. Una ballata calma e pacata. Come Henry, il protagonista di Bukowski, che, rimanendo chiuso per giorni nella propria stanza ad osservare i raggi del sole che filtravano dalla finestra, comprende che l’unica verità e, allo stesso tempo, il segreto più grande, è che sono le bugie a muovere il mondo. Ciò che vogliamo tutti, è il nostro cibo preferito: bugia e ipocrisia. Scoprendo una tale grande verità, gli sembrò addirittura inutile e insignificante il resto della vita. Il terzo brano, ‘Essaouira’, è un pezzo strumentale ispirato alla musica Gnawa, viste le sue atmosfere, immergendo magistralmente il tutto in una psichedelia “pinkfloydiana”. Il riferimento è alla città del Marocco dove, a metà degli anni Sessanta, si riunirono numerose comunità hippy che ospitarono tra l’altro artisti come Jimi Hendrix, Frank Zappa, Bob Marley e Sting. Tale sonorità e le atmosfere quasi tribali fanno da ponte per ‘Into The Wild’, il brano successivo. Concettualmente ci troviamo di fronte alla dura consapevolezza che i meccanismi che regolano la nostra società, che crediamo tanto evoluta, sono gli stessi principi tribali dei popoli da noi massacrati. Ci credevamo migliori di loro, crediamo sempre di essere migliori di qualcun altro, e quando non siamo in grado di esserlo soffriamo e ci auguriamo il male altrui: ‘I Hope You’re Feeling Bad’. Invocando un intervento Superiore a eseguire la giustizia secondo il nostro metro di giudizio. “Che razza di bestie siamo se il male e la disgrazia altrui ci fa stare meglio?” direbbe il protagonista del “nostro” libro, al suono e con la carica del buon vecchio Hard Rock, che torna con prepotenza a farsi sentire in questo brano. In ‘No Man’s Land’ incontriamo nuovamente una ballad, triste, piena di malinconia e rassegnazione, come se facesse un resoconto di questi anni di merda, dove si ha la brama e il bisogno di vivere, ma non la capacità di farlo. Dove L’Homo Sapiens è colui che riduce a brandelli un cane randagio, è lo stupratore, è l’assassino che uccide non per necessità ma per il piacere di farlo, è colui che compie genocidio per un liquido nero. Non riconosciamo nemmeno un nostro simile se non appartenente alla nostra stessa classe sociale. Viviamo, insomma, non nella realtà dei fatti ma nella realtà di uno stato mentale, ‘State Of Mind’, dove, paradossalmente, regna la logica delle opportunità e dell’opportunismo, non la logica in sé. La realtà viene plasmata da qualcuno, creando un’insopportabile sensazione di estraneità e di non appropriatezza a questo mondo. Il rifugio del nostro protagonista è stato l’alcool. Bevendo cambiava la prospettiva e la dimensione dello stato mentale. Musicalmente è un trionfale mix tra progressive e rock blues, è il brano più lungo e complesso dell’intero platter. Giungiamo all’ultima track ‘Cross-eyed Jesus’, che racchiude in sé tutto il concetto southern e stoner rock dei Nostri. Un deciso invito a far ripartire il disco, ancora e ancora, all’infinito. Il collegamento con il “nostro” libro di Bukowski lo troviamo nei panni di David lo strambo, un ragazzo buono che condivide il proprio cibo con il prossimo, nonostante sia povero. Crede nella pura bontà d’animo, vivendo ed essendo circondato dalla realtà governata da impulsi primitivi. Viene regolarmente pestato a sangue solo perché porta calzoni alla zuava. Questa figura, metaforicamente, ci racconta che sacrificarsi per cambiare l’ordine naturale della vita, per quanto discutibile, come fece anche il ben più famoso Gesù Cristo, è talmente assurdo che, sarcasticamente parlando, doveva essere strambo anche lui per credere di riuscire nell’impresa. L’ipocrisia, ahimè, assieme al tempo, gli ha dato torto. Doveva essere per forza strambo anche lui…

 

From The Solitary Woods’ è un bellissimo ritorno al passato, fatto con una linfa vitale fresca e appassionante. Lo si percepisce in ogni nota, in ogni melodia o parola cantata. I B.B.B. sono riusciti a trasmettere il succo dell’hard rock, dove non ci sono mezze misure, con i suoi potenti riff, fasi sperimentali, le diverse forme di virilità, i testi poco remissivi e spesso provocatori e anticonvenzionali. Nonostante la tendenza sovversiva, c’è una cosa che unisce tutti i campi: l’hard rock fatto come si deve, piaccia o no, fa sentire qualcosa. Qualcosa di autorevole e catartico, un privilegio che poche forme artistiche possono vantare. Proprio questo suo carattere ha ispirato negli ultimi quarant’anni una cultura coesa, a cui fanno riferimento tutti gli appassionati di questo genere, e a cui fanno riferimento anche i Buttered Bacon Biscuits con questo bellissimo e consigliatissimo lavoro.

 

Vladimir Sajin

 

 

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