Recensione: Fugue

Di Daniele D'Adamo - 5 Luglio 2018 - 17:05
Fugue
Band: Moonreich
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2018
Nazione:
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78

A distanza di tre anni dal buon “Pillar of Detest” si rifanno vivi i blackster francesi Moonreich con il loro quartogenito “Fugue”.

Fast black metal era, fast black metal è.

Nella miriade di contaminazioni e spunti evoluzionistici non sono poi molte le band a suonare, oggi, questo sottotipo di black metal. I Moonreich, invece, proseguono –  giustamente, a parere di chi scrive – imperterriti, lungo la propria strada, alla velocità della luce.

Non solo rapidi, però: la proposta del quartetto parigino è complessa, articolata, multiforme nei contenuti sia musicali, sia testuali. Non a caso occorrono parecchi, attenti ascolti per venire a capo dell’immenso muraglione di suono che prende il nome di “Fugue”, appunto.

Una volta scardinata la gigantesca struttura portante il suono dell’album, allora, si apre l’infinito volume spaziale disegnato dalla trance da hyper-speed. Sublime percezione psichica prodotta dallo stordimento dei neuroni. Scossi, strapazzati, strattonati dalle sfuriate degli incommensurabili blast-beats di Siegfried. Caratteristiche che si ritrovano, sin da subito, nell’opener-track ‘Fugue, Pt. 1: Every Time She Passes Away’, retta da un maestoso, fenomenale, arcaico main-riff. Le molecole d’aria sono compresse dalla furia devastatrice di un sound monumentale, perfetto. Così premuto, il gas vitale per la respirazione provoca l’asfissia e il conseguente malfunzionamento del cervello sì da dar luogo alla già descritta, allucinante sensazione di stordimento e visionarietà cosmica.

Tuttavia, come detto, in certi momenti l’impetuosità del quartetto proveniente dall’Île-de-France di placa per dipingere scenari malsani, tetri, come nella parte finale della già citata ‘Fugue, Pt. 1: Every Time She Passes Away’ e nella seguente ‘Fugue, Pt. 2: Every Time the Earth Slips Away’. L’imponenza del sound è rabbrividente, anche durante i massicci mid-tempo: la formazione transalpina, perfettamente prodotta nonché dotata di tecnica di esecuzione altrettanto irreprensibile, riesce a spingere a fondo sull’acceleratore dell’energia, dei watt, con maniacale senso dell’ordine. In antitesi con l’apparente caos imperante durante i momenti in cui la celerità è da follia.

Se però si dovesse ipoteticamente scegliere fra un aspetto o l’altro, è in occasione degli altissimi numeri di BPM che i Nostri danno il meglio di sé, riuscendo a mantenere alta la potenza anche quando si sfora la barriera del suono. I blast-beast del drumming, cioè, non tendono a sfilacciare la potenza cosicché il sound mantiene integra la sua immensa matrice dinamica.

Anche il songwriting partecipa alla bontà complessiva del platter, costruendo song varie e flessibili, dotate – tutte – di una singola personalità che, via via che si susseguono durante il viaggio da ‘Fugue, Pt. 1: Every Time She Passes Away’ a ‘The Things Behind the Moon’, determinano il carattere arcigno e caleidoscopico di “Fugue”.

‘With Open Throat for Way Too Long’ è quello sfascio totale che rade al suolo qualsiasi cosa ci sia fra l’esistenza e la non-esistenza, disintegrata dall’incedere pazzesco di un sound al massimo delle possibilità umane. A 360°. Poi, di nuovo, rallentamenti; ulteriori, furibonde accelerazioni da totale annichilazione. Non mancando episodi accessibili (quasi) a tutti come l’hit, per modo di dire, ‘Heart Symbolism’; vagamente melodica ma terrificante nella sua atomica potenza deflagrante. Un nero tornado metallico si abbatte senza pietà sulle teste dei coraggiosi che osano sfidare le pazzesche linee vocali di L., insomma.

Si sarà compreso, alla fine: “Fugue” è un inno alla completa distruzione, allo sconquasso definitivo, al saccheggio delle cellule cerebrali.

Potenza, potenza e ancora potenza, senza apparente fine… Moonreich!

Daniele “dani66” D’Adamo

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