Recensione: GA.GA.R.IN – Galactic Gateways For Reborn Intellects

Di Francesco Sgrò - 9 Maggio 2015 - 23:04
GA.GA.R.IN – Galactic Gateways For Reborn Intellects
Etichetta:
Genere: Stoner 
Anno: 2014
Nazione:
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75

Un esordio roccioso e coraggioso (scusate la rima) quello presentato dagli italiani Misty Morning, band che si affaccia sulle scene con questo interessante “GA.GA.R.IN – Galactic Gateways For Reborn Intellect”, pubblicato nell’autunno dello scorso anno.
Una miscela esplosiva di Doom e Stoner Rock caratterizza l’anima di un’opera ambiziosa e ben realizzata tecnicamente, in grado, in poco meno di un’ora, di offrire un compendio di buona musica, interessante e resa ancora più prelibata grazie ad una produzione limpida e asciutta.

Ad aprire le danze sono le note della breve “Forward”, interessante intro elettro acustica, massiccia e teatrale, che dopo pochi istanti cede il passo alla risoluta title track, la quale evidenzia le egregie capacità compositive del combo tricolore, in grado di creare ottime melodie sorrette da una serie di riff granitici orchestrati dalla sei corde di Luca Moretti (primo responsabile anche delle trame vocali dell’album), nonché suggellate da una sezione ritmica affilata. Il sottile tappeto tastieristico, curato dal bravo “Reietto” (alias Massimo Melina), si dimostra utile nel conferire al brano una buona dose di psichedelica profondità, rendendo l’atmosfera decisamente seventies.

Inquietanti e suggestive sonorità spaziali caratterizzano l’essenza della breve “Silicon Sea”, che a sua volta precede la lunga “Mourn Of Whales”, con la quale la band si diverte a sperimentare, confezionando un brano plumbeo ed enigmatico, nel quale è possibile percepire echi di Pink Floyd e Black Sabbath, per un risultato finale ipnotico ma estremamente piacevole all’ascolto.
Il gruppo non perde occasione di proporre momenti in cui la musica, in quanto atmosfera, è l’assoluta protagonista, ed incastona un nuovo mistico intermezzo strumentale che questa volta risponde al titolo di “A New Cosmology”.

Il Doom più oscuro e decadente torna con fierezza a trionfare nelle note della riuscita e particolare “Black Monk Lives”, nuovo notevole tassello di questo esordio, sempre in bilico fra ricercati passaggi acustici e tenebrose sfuriate Heavy, in cui a dominare sono i potenti riff macinati dalla chitarra del già menzionato Luca Moretti che, con oscura eleganza accompagnano le cadenzate e solenni melodie vocali interpretate fieramente dal cantante/chitarrista Luke (sempre Moretti) bravo nel riuscire quasi a rievocare lo stile dei primissimi Candlemass.
Squisite sonorità seventies primeggiano nella bella e magnetica “Doozmilla”, ancora contraddistinta da una struttura dinamica e in continua evoluzione, durante la quale emerge un azzeccato intermezzo strumentale, in cui a dominare sono nuovamente le chitarre. Un pregevole operato tastieristico – preciso e mai fuori luogo – caratterizza l’anima anche della breve e malinconica “Baltimore, 1849”, ovviamente ispirata e dedicata al grande scrittore statunitense Edgar Allan Poe, deceduto in un ospedale di Baltimora proprio nel 1849, all’età di soli quarant’anni.

Alla rapida “Baltimore 1849”, segue la violenta e lunga “Ballo in FA# minore”, nella quale emerge lo spirito più teatrale dei Misty Morning: un delizioso affresco Doom Metal – interpretato completamente e con successo in italiano – che riesce a stuzzicare l’attenzione del fruitore, reso testimone di un viaggio che può proseguire con la sulfurea “Sonnet”. Le novità singolari non sono terminate: ecco, infatti, una tanto curiosa quanto inattesa (nonché inutile, a dire il vero), versione della già ascoltata “Doozmilla”, questa volta cantata interamente in giapponese.

Con un nuovo e (di nuovo) inaspettato colpo di coda, i nostri decidono di concludere l’opera, riproponendo (misteriosamente), l’iniziale “GA.GA.R.IN – Galactic Gateways For Reborn Intellect” questa volta però in lingua madre: una scelta questa che (a parere) di chi scrive, si rivela essere del tutto fuori luogo, tanto da impedire all’album di uscire completamente “a testa alta”.

Un vero peccato: un lavoro di questo livello, così ben curato e ricco di talento, avrebbe senz’altro meritato un finale più degno e soprattutto “in linea” con il resto del materiale proposto…

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