Recensione: Gaea Hypotesis

Di Daniele D'Adamo - 6 Febbraio 2018 - 16:31
Gaea Hypotesis
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2018
Nazione:
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75

Nati nel 2015, un EP nel 2016 e il debut-album nel 2018. Più alcuni rimaneggiamenti della line-up. Questa, in estrema sintesi, la biografia dei lombardi Storm Of Particles.

Anche loro, come tanti altri, impegnati a tenere alto il vessillo del death metal tricolore. Con una professionalità e talento che nulla hanno a che inviare a chicchessia, come tanti altri loro colleghi d’avventura.

Il death metal italiano ha subito la medesima evoluzione di quello internazionale, suddividendosi in parecchi sottogeneri fra cui il melodic. Interpretato dai Nostri senza cadere nella mera riproposizione di cliché già visti e stravisti.

I Campioni del death melodico scandinavo sono piuttosto lontani, difatti, giacché gli Storm Of Particles propongono un full-length di debutto, “Gaea Hypotesis”, incentrato sì su ariose armonie ma senza che ciò ne determini una facile fruizione da parte degli appassionati. 

Non si tratta di facili melodie, anzi, a parte la splendida e luccicante ‘Aurora’, trascinante e struggente brano che fa veramente volare con la forza motrice dei sogni, il resto è metallo duro, estremo, potente. Sempre piacevole da masticare ma scevro di chorus, soli e quant’altro abbia i connotati di una semplice assimilazione. Al contrario, la struttura che regge l’impianto sonoro di “Gaea Hypotesis” fa tremare le budella, quando entra in risonanza con la strumentazione del combo di Cremona e, nondimeno, con il profondo e roco growling di Matteo Anselmi, inoltre axeman – assieme a Giacomo Biondelli – dai riff quadrati e compatti nonché dai soli laceranti e quindi ficcanti.

Come in ‘Aurora’, e comunque più in generale, il mood che gonfia la sacca emotiva del platter non è gioioso e/o festoso, bensì triste, malinconico, sfuggente nel suo lambire le profonde questioni del cuore che riguardano emozioni e sentimenti. Circostanza evidente nel dolcissimo incipit arpeggiato di ‘Everlasting’, che fa da punto di partenza per una song robusta e massiccia ma sempre e comunque sfiorata da quell’impalpabile velo di melanconia che il quartetto (ora terzetto, dopo l’abbandono del già citato Biondelli) riesce così bene a tessere e a posizionare sulle membra della propria musica.

A tal proposito, la ridetta struttura di cui sopra necessita assolutamente di due sei corde, per generare appieno la potenza di cui è capace. In tal modo, gli Storm Of Particles possono innalzare il loro esteso e granitico muro di suono sul quale, a mò di graffiti, diventa operazione visionaria disegnare le melodie che lo aggraziano, lo abbelliscono, lo impreziosiscono (‘Of Ice and Hopeless Fate’).

Ecco quindi un’Opera Prima che mostra una formazione già rodata e pronta per raggiungere traguardi più ambizioni primo fra tutti la chiusura di un contratto discografico.

Meritatissimo.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

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