Recensione: Gash’khalah

Di Stefano Usardi - 23 Luglio 2018 - 10:00
Gash’khalah
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2018
Nazione:
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80

Dalle ridenti terre che hanno da poco conquistato la coppa del mondo di calcio giunge una misteriosa compagine (misteriosa in quanto poco o nulla si sa della sua composizione e di chi, al suo interno, faccia cosa o suoni cos’altro…) chiamata Novae Militiae, che con questo “Gash’khalah” si affaccia per la prima volta sul modo metallico. Oddio, per la verità l’album è già disponibile da un annetto, da quando è stato rilasciato in versione digitale, ma solo da quest’anno se ne può godere anche in formato fisico, più precisamente in vinile e, curiosamente, audiocassetta. Curiosità e nostalgie commerciali a parte, già dalla copertina dell’album, di colore rosso sangue e sulla cui metà superiore campeggia la lunetta del famoso portale del Giudizio Universale di Notre–Dame, si capisce che i nostri non suonano esattamente rielaborazioni delle sigle di cartoni animati famosi. “Gash’khalah”, infatti, è molto semplicemente definibile come un monumentale concentrato di nerissimo e crudelissimo black metal che, pur suonando con piglio molto moderno e con buona pace delle derive ambient e sinfoniche di alcuni colleghi, torna alle origini del movimento per recuperare un feroce anti–cristianesimo di fondo mascherandolo dietro un assalto sonoro vorticoso e insensato. Per tutta l’oretta scarsa (suddivisa in otto tracce piuttosto dense e corpacciute) di cui si compone l’album, infatti, i nostri enigmatici parigini cercano in tutti i modi di annichilire l’ascoltatore con la loro opprimente miscela fatta di assalti sonici malati e dissonanti, ritmi forsennati affiancati a cupi rallentamenti dal sapore ipnotico e blasfemo e, soprattutto, una furia vocale che posso solo definire come nichilista. E ci riescono. La proposta sonora del gruppo rifiuta ogni genere di compromesso, buttando apparentemente dalla finestra concetti come orecchiabilità e senso della misura, e si sviluppa attraverso una frenesia a tratti esacerbante e una particolare attenzione per le dissonanze più alienanti e angosciose: la batteria saltella da blast beat isterici a mazzate lente, inesorabili e logoranti, scandendo il suo continuo assalto sonico sulla base di frustate impietose e rallentamenti maligni; la sorregge un basso vorticoso, rimbombante, che col suo viscido serpeggiare mantiene alti il tasso di inquietudine emotiva e la tensione violenta dei pezzi; le chitarre lacerano, col loro incessante ronzio, il normale tessuto sonoro, fondendosi col resto del comparto strumentale per creare un continuo flusso e riflusso, come onde sotto un cielo spazzato da una pioggia tesa, e fungere da base ideale per la voce, vero punto focale dei Novae Militiae e centro ideale dell’attenzione anche grazie a un bilanciamento dei suoni che la pone esattamente sotto la luce dei riflettori. Come già detto, la resa vocale è, nel suo incedere allucinato, lontana anni luce da qualsiasi genere di compromesso e a suo modo totalizzante nel suo sfrenato nichilismo; niente mezze misure né variazioni, al di là di impercettibili sfumature che fanno capolino di tanto in tanto: quella del cantante è una continua aggressione emotiva che raramente conosce momenti di calma, e quando la sua foga si smorza è solo per caricarsi in vista di una nuova sfuriata (si veda ad esempio “Annunciation”, tra gli episodi più tranquilli dell’album insieme alla snervante “Fall of the Idols”, che, dopo una prima parte tutto sommato tesa ma senza troppi scossoni ritmici, sfocia di colpo in un gorgo sonoro di violenza ipnotica e allucinatoria). Inuntile perdere tempo ad aspettarsi una melodia coerente o qualche sezione meno che intimidatoria: qui troverete solo violenza, crudeltà e disperazione, se si eccettua qualche sporadico accenno – per la verità più unico che raro – di oscuro trionfo (come ad esempio nell’attacco di “Seven Cups of Divine Outrage”, probabilmente la traccia più canonica dell’album, se così si può dire).

Gash’khalah” non è di certo un album per tutti, e anche gli amanti di certe sonorità potrebbero trovarsi in difficoltà per via di una certa ostinazione di fondo del combo parigino a cercare sempre la soluzione più destabilizzante, impietosa e visionaria possibile. Cionondimeno, è sicuramente uno di quegli album che, parlando di black metal puro, puntano dritti all’obiettivo e martellano senza pietà fino a portarsi a casa il risultato, obiettivo peraltro raggiunto senza particolari difficoltà. Permettetemi infine un’ultima parentesi a titolo personale: difficilmente troverete un album, almeno nel recente passato, che possa superare il livello di inebriante malvagità di questo “Gash’khalah”, per cui se siete alla ricerca di qualcosa di cattivo fatevi pure sotto.
Di sicuro un gruppo da tenere d’occhio per il futuro.

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