Recensione: Gasoline

Di Francesco Sgrò - 16 Giugno 2013 - 16:20
Gasoline
Band: Sideburn
Etichetta:
Genere: Hard Rock 
Anno: 2013
Nazione:
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77

Pubblicato originariamente nel 2003, questo ottimo “Gasoline“ – album sfornato dagli svizzeri Sideburn, attivi dal ’97 e nati dalle ceneri dei Genocide – è stato ristampato nel 2013 con l’aggiunta di tre preziose bonus track registrate durante lo show del 27 ottobre dello scorso anno, svoltosi in Francia.
Sfrenato Hard Rock ristagna fra i solchi di un lavoro che trae la propria linfa vitale da un sound ruvido ed elegante che ha segnato il successo di tanti altri colleghi, divenuti simboli nel panorama del Rock internazionale (Aerosmith, AC / DC e ZZ Top ne sono un esempio perfetto).
L’opera degli svizzeri si distingue per buon gusto compositivo, nonché per un’ottima produzione –  asciutta e curata  – che ne evidenzia la qualità.

Il disco si apre con la cadenzata “Baby Don’t Care“, caratterizzata da un mastodontico riff chitarristico su cui si staglia la potente voce del singer Roland Pierrehumbert che guida l’ascoltatore al cospetto di un refrain alcolico e coinvolgente, memore del classico stile dei canguri AC / DC.
“Baby Don’t Care“ segue la divertente title track, imperniata su un devastante muro orchestrato da una sezione ritmica precisa e potente, la quale fa da sfondo ad un coro pieno ed orecchiabile.
La successiva “Walls Of Shame“, riprende le sonorità cadenzate della traccia apripista, concentrandosi sull’operato delle due chitarre che ne costituiscono solida ossatura, carta vincente anche della riuscita “Gangster Lover“, episodio che sembra quasi essere il risultato di una collaborazione fra gli Aerosmith di Steven Tyler e gli ZZ Top.

Il divertimento è assicurato sulle note della trascinante “Black Sheep“, impreziosita da melodie orecchiabili che ne rendono l’ascolto agevole e da un guitar solo ispirato e vincente.
“Trouble Maker“ è forse il miglior momento dell’intero platter, una pura sferzata di adrenalina che non lascia tregua all’ascoltatore, catapultato nel bel mezzo di una festa, condita da fiumi di birra e tanto divertimento.
Le seguenti “Giov In L.A“ e  la divertentissima “Never Kill The Chicken“, quest’ultima ancora in puro stile Aerosmith e arricchita da un refrain tanto semplice quanto vincente, confermano la qualità di un album che ha nella semplicità il proprio punto di forza, come dimostrano la rasoiata di “Rip It Up“, questa volta quasi in stile Motley Crue e l’ottima “Attitude“, traccia che invece potrebbe richiamare alla memoria alcune sonorità utilizzate da Bryan Adams in “18 Til I Die“.

Dopo quest’ennesimo momento di buon livello, la carrellata prosegue con la conclusiva “Boots For Hire“ che, non tradendo le aspettative, mostra ancora una volta il talento di una band non molto conosciuta al grande pubblico, ma comunque pienamente in grado di confezionare un disco delizioso alle orecchie degli appassionati dell’Hard Rock ruvido e melodico.

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