Recensione: Genetically Engineered To Enslave

Di Alessandro Marrone - 17 Dicembre 2018 - 15:00
Genetically Engineered To Enslave
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2018
Nazione:
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75

E siamo a quattro! Quattro dischi nel giro di appena cinque anni, come se niente fosse. Di primo acchito la cosa mi ha un po’ sorpreso e lasciato presagire che forse gli americani Solium Fatalis abbiano accelerato un po’ troppo i tempi e bruciato quella ottima ispirazione in fase compositiva ascoltata con gli album precedenti, ma c’è da dire che ci si trova di fronte a una band che non ha soltanto le idee chiare su ciò che vuole suonare e come vuole farlo, ma è stata in grado di assorbire al massimo l’esperienza maturata condividendo il palco con band esperte quali Cryptopsy e Belphegor. Resta il fatto che l’eventualità di aver fatto fuori le cartucce migliori e non essersi dati abbastanza tempo per ricaricare le energie c’è tutta, ma d’altro canto, sono anche fiducioso e non vedo l’ora di potermi ricredere e “benedire” (si fa per dire) l’ultimo lavoro del quartetto capitanato dal singer/bass player Jeff DeMarco, coadiuvato dalle due chitarre di Jim Gregory e Ryan Beevers e dall’eccellente contributo tecnico/violento del drummer Jeff Saltzmann.

 

La opener Threshold mette subito in chiaro che non si scherza. A partire dall’intenso drumming – autentico stendardo dell’intero disco – sino alle ritmiche granitiche e in grado di graffiare l’anima in quanto a velocità e gusto, senza disdegnare degli assoli realmente degni di nota. Una volta partiti col botto, i Solium Fatalis proseguono delineando il proprio sound con un album sfaccettato, ricco di una tecnica che però non viene messa in prima linea, ma sfruttata in favore di canzoni dure come la roccia e in grado di diversificarsi l’una dall’altra come raramente succede in ambito death metal estremo. Lake Of Extinction e Chemical Regeant sono altri due brillanti esempi di come si possa personalizzare degli attacchi ai vostri timpani, senza ripetersi nemmeno per un attimo. E si continua così, con le chitarre che masticano riff senza tregua e una violenza e compattezza da far sgranare gli occhi, nel caso non l’abbiate già fatto facendovi travolgere dall’inizio di Servile, altro vero e proprio magnete del cd. Ci sono canzoni che prediligono maggiore velocità e viaggiano su binari più tradizionali come Synthon, Factor Red e Dysmorphic, ma quando è il momento di A Gathering Of Storms tutte le certezze che si erano costruite vengono frantumate come un castello di carta. La canzone è introdotta da un delicato e malinconico arpeggio e dalla voce pulita di Haydee Irizarry (Carnivora), che va poi a scontrarsi non appena fanno capolino le chitarre elettriche, la batteria e la cruda voce di Matt McGachy (Cryptopsy). Il contrasto è sublime e la canzone vi obbliga ad un ripetuto ascolto, concedendo sfumature che in principio potrebbero essere passate inascoltate. Meravigliosa. Verso la fine del disco abbiamo ancora due pezzi degni di essere menzionati e in parte simili tra loro, si tratta di Fiery The Angels Fell e A Tongue To Taste The Collapse: entrambe si elevano su velocità maggiori e dove la prima mette in luce le abilità e la straripante cattiveria di Saltzmann nell’assassinare le pelli della batteria, la seconda suona quasi più groove. Ancora una volta, sia nel primo che nel secondo caso, ritroviamo due assoli chitarristici ispirati e per nulla impregnati da alcun tipo di cliché.

Nessun dubbio, nessun compromesso. Il nuovo disco dei Solium Fatalis merita di finire nella vostra collezione, anche se – come nel mio caso – il death metal più estremo non sia esattamente il vostro genere preferito. Se state cercando tecnica, sappiate che qui ce n’è a volontà, ma non per questo viene sbandierata ogni cinque secondi. È piuttosto utilizzata come arma per raggiungere sfumature di aggressione musicale che rendono Genetically Engineered To Enslave il più duro inno per combattere e non fare prigionieri. Ogni canzone ha un ruolo preciso all’interno del cd e il percorso evolutivo della band è disarmante, in primis perché non sembra esaurire la vena compositiva, ma anche perché dimostra come si possa aggiungere un tocco personale su uno schema troppe volte blindato dall’utilizzo di tempi, ritmiche e linee vocali troppo standardizzate. Ecco perché se stiamo parlando del vostro genere prediletto, potete aggiungere tranquillamente un +5 alla recensione di questo fantastico album.

 

Brani chiave: Threshold / Servile / A Gathering Of Storms

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