Recensione: Grains

Di Stefano Santamaria - 26 Gennaio 2018 - 0:00
Grains
Band: Thaw
Etichetta:
Genere: Black 
Anno: 2017
Nazione:
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75

I polacchi Thaw sono una di quelle realtà di fronte alle quali i più intransigenti ed amanti della nera fiamma potrebbero storcere il naso. Sound il loro che non crediamo abbia una lancetta dell’indice di gradimento che possa stare nel mezzo, ma che inesorabilmente penda dall’amore più incondizionato all’odio più intimo.

Il sound dei nostri parte indubbiamente dal black metal, diramandosi poi nel noise e all’ambient, senza una vera e propria soluzione stilistica univoca. L’ultimo lavoro in studio è la loro quarta fatica sulla lunga distanza, con una serie di demo, split e compilation nel mezzo ad arricchire la discografia dei nostri. 

Suoni elettronici scivolano su una nebbia fredda di natura ambient, un gelo che idealmente si alza in un mondo futurista e cibernetico, in cui la natura cerca di riprendersi lo spazio rubatole dal polveroso cemento.

 “Grains” ha molti momenti dilatati, vibrazioni che ci raccontano di uno spazio infinito, in cui tuono in lontananza ci angoscia. 

Ci sentiamo piccoli, inermi di fronte ad una dimensione in cui anche un piccolo sibilo ci pare un urlo che ci raccapriccia. Insignificanti ci lasciamo così galleggiare in un moto perpetuo di pensieri, materia oscura che ci fagocita e in cui roteiamo ormai silenti.

 Brani come The Cabalist o The Harness richiedono una certa pazienza all’ascolto, così da abbracciarne le sfumature liberi da pregiudizi o da paletti in cui molti invece vogliono viaggiare. I crescendo degli effetti di sottofondo sono brulicare di insetti sotto i nostri piedi, formicolio che ci riporta idealmente a “sentire” e provare emozioni attraverso sensi che pensavamo sopiti. 

Full-length che ci mostra come il trend dei Thaw sia quello di rendere la propria essenza black con ambientazioni strazianti, piuttosto che con suoni martellanti. Distorsioni che impattano al suolo, lasciando un polverone dalle cadenze doom e dai tratti sludge e core per monolitica e corrotta prezenza.

Mormorii si fanno sempre più distanti, fioche fiamme che, come fatui ricordi, si disperdono nel tempo. Album dai tratti indistinti, che richiederà molteplici ascolti per essere compreso a pieno e che per natura non sarà assimilato da tutti. Se siete avvezzi ad atmosfere cupe ed enfasi potreste trovare molte soddisfazioni con “Grains”, altrimenti passate la mano.

 

Stefano “Thiess” Santamaria

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