Recensione: Gray Painted Garden

Di Vladimir Sajin - 28 Dicembre 2018 - 12:32
Gray Painted Garden
Band: Inira
Etichetta:
Genere: Metalcore 
Anno: 2018
Nazione:
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70

Vi presentiamo gli INIRA, una compagine italiana che negli ultimi anni ha avuto qualche cambio di formazione, fatto parecchia gavetta, bruciato chilometri e chilometri di asfalto sotto le gomme della loro auto andando a suonare in giro per i locali, litri di birra e sudore versato e condiviso con gli impavidi metallari sotto i palchi italiani ed europei. Dopo tutto questo peregrinare hanno finalmente raccolto la giusta dose di ispirazione e si sono ritirati in un estroso silenzio compositivo durato più di un anno che ha concepito un nuovo lavoro intitolato ”Gray Painted Garden”. Come abbiamo detto, ne è passata di acqua sotto i ponti, sono trascorsi ben otto anni dal loro primo album intitolato ”Revolution Has Begun”. Tempo che ha contribuito a cambiare il sound della band friulana, che aveva esordito con un death-metalcore puro e crudo e che si presenta oggi al grande pubblico con un autodefinito modern metal. Lasciando da parte la semantica lessicale, musicalmente questo si traduce in un classico e canonico metalcore (moderno). Al di là delle etichette del genere proposto, che andremo ad approfondire durante la recensione, ciò che si evince di primo acchito è la voglia di maturità e complessità creativa che avvolge tutto il progetto musicale. Cominciando dalla copertina, che allo stesso tempo ispira sia malinconia che speranza, da un titolo d’album molto evocativo e sopratutto attraverso i loro testi, alquanto maturi e ricercati. In tal modo ”Gray Painted Garden” crea un mood particolare e avvolgente, che ti trascina all’essenza della band, ispirando varie riflessioni allegoriche.

 

In ”Gray Painted Garden” siamo di fronte a un classico metalcore arricchito da diverse influenze come hardcore, thrash e post metal, il tutto con un approccio e un suono che risulta fresco e moderno. La voglia di complessità e maturità dei Nostri si nota già dalla scelta di collegare i brani tra loro, creando l’effetto di un’opera unica e concettuale. Una scelta molto apprezzabile in quanto crea l’effetto di un lavoro molto maturo, anche se l’intento viene però raggiunto solo in parte. Nella prima metà del disco si crea veramente l’illusione di un’unica traccia musicale che funziona benissimo, sia come pezzi singoli che come un’unica opera. Nella seconda parte, invece, si percepisce l’effetto artificioso di questa idea, che dà la sensazione di una forzatura creata in post produzione per rispettare un tale archetipo concettuale. L’intenzione della band è quella di coinvolgere l’ascoltatore nelle atmosfere cupe e malinconiche del loro sound, come accade nel brano d’apertura, la tittle track ‘Gray Painted Garden’, che inizia con una voce narrante e suoni trascinanti ed evanescenti, per buttarci successivamente dentro un vortice metal tecnico e d’impatto. Il tutto è accompagnato dalla voce graffiante in semi-scream di Efis Canu “Najarro”, che si tramuterà in una voce limpida e passionale nei ritornelli. Questo schema accompagna quasi tutto il disco, rimarcando la chiara appartenenza, forse eccessivamente, al tipico “stampo” del metalcore odierno. ‘Discarded’ è un brano potente e diretto con una sezione ritmica impeccabile, dove troviamo un micidiale Marco “Cucci” Bernardon al basso a impostare un possente ed efficace riff. ‘This is War’ ricorda vagamente i più recenti Gojira, essendo un brano molto maturo, che dimostra la crescita e il percorso intrapreso dagli INIRA con questo lavoro. Nella traccia successiva i Nostri si esprimono in uno struggente tempo medio che si conclude con una lunga sezione musicale di fievole e malinconica atmosfera, che ci trascina sulle sue nitide onde direttamente verso ‘Venezia’, composizione ripescata dal loro EP “Antartide”, rilasciato nel 2013. Proprio questa traccia evidenzia una “criticità” del “nuovo corso” intrapreso dagli INIRA: il cantato scream/growl di Efis Canu “Najarro” degli esordi, e sopratutto nell’EP del 2013, è molto più credibile, ispirato e a fuoco rispetto alla scelta stilistica “morbida” e “indefinita” adottata in questo Gray Painted Garden”. Paradossalmente, cantando in un bellissimo e potentissimo growl si percepisce la naturalezza e la facilità d’esecuzione che rendeva il tutto molto più autentico e “credibile”. Ora, invece, adottando questa via di mezzo tra scream e cantato lievemente rauco, si percepisce una forzatura e la poca naturalezza d’esecuzione, con un risultato finale meno incisivo e meno coinvolgente. Dal punto di vista prettamente lirico, a migliorare rispetto al passato sono i ritornelli, caratterizzati dalla voce pulita del cantante, piacevole e trascinante. Con i due brani successivi ‘Zero’ e ‘The Falling Man’ scopriamo due pezzi ricercati, che rispecchiano perfettamente l’atmosfera dell’album, avendo una struttura sufficientemente complessa e meno tradizionale. L’esperienza complessiva dell’ascolto risulta però poco incisiva, le due tracce non presentano quel mordente in grado di renderle più allettanti. ‘The Path’ è una ballad che sfrutta esclusivamente la bella voce clean di Efis Canu, che si dimostra assai efficace in brani di questo tipo. Con la canzone successiva, ‘Universal Sentence of Death’, viene definitivamente abbandonato il concetto dell’opera unica che già da prima aveva vacillato. La canzone risulta più intima e piena di atmosfere ben ricreate come tutta la seconda parte del disco che, però, continua a risultare poco incisiva. Come spesso accade, dopo una fase del disco un po’ sottotono, la parte finale viene risollevata da due brani di tutto rispetto come ‘Oculus Ex Inferi’, che si apre con un indemoniato Gabriele Boz alla batteria, accompagnato da continui assoli ben eseguiti da Daniele “Acido” Bressa con la sua sei corde. Ma il brano più ispirato, complesso e ricercato di tutto il platter è la conclusiva ‘Home’. Qui troviamo elementi che spaziano da un techno prog a un malinconico deathcore. In questo caso risulta più incisivo e credibile persino il cantato scream che abbiamo criticato in precedenza. Una bellissima nota finale che ci auguriamo possa essere un ottimo punto di partenza per i lavori futuri degli INIRA.

 

Dopo anni di silenzio discografico gli INIRA ci presentano un album che vuole essere maturo a tutti i costi, si percepisce la ricerca della complessità in ogni aspetto che circonda questo ”Gray Painted Garden”. La produzione e il missaggio sono impeccabili e in linea con gli standard odierni. Il risultato finale, però, risulta spesso artificioso, poco efficace e a tratti monotono. La scelta stilistica di alleggerire il cantato ha tolto quell’estro e quel naturale coinvolgimento dei primi lavori. Molto gradita la voglia di comporre una musica complessa e ricercata, che può sicuramente produrre i risultati voluti con qualche accorgimento in più e maggiore costanza creativa. Per concludere, ”Gray Painted Garden” è un buon album metalcore che si rivela moderno non tanto nel sound proposto, quanto nelle atmosfere ricreate attraverso l’insieme di elementi che compongono l’opera, con le sue parole, i suoni e le immagini che riproducono molto efficacemente un tipico e particolare mood che ci accompagna in questo singolare giardino dipinto di grigio degli INIRA.

 

Vladimir Sajin

 

 

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