Recensione: Grief Relic

Di Daniele D'Adamo - 26 Luglio 2016 - 22:16
Grief Relic
Band: Whitered
Etichetta:
Genere: Death 
Anno: 2016
Nazione:
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75

Quarto full-length in carriera per i deathster (?) americani Whitered. Si chiama “Grief Relic” ed è uscito da due mesi esatti grazie all’impegno della label SOM-Underground Activists.

Il punto interrogativo è d’obbligo, poiché la band formatasi in Atlanta nel 2003 elabora musica senza confini, spaziando nei vasti territori del death, del black, del doom, e non mancando di schizzare crust/grindcore quando meno lo si aspetta.

“Grief Relic” è un lavoro monumentale, vastissimo, che dilata in maniera incomprensibile, per la fisica, i suoi trentotto minuti di durata che, all’ascolto immediato, istintivo, paiono essere almeno il doppio. È l’effetto marea nera, questo. Un effetto a lungo termine, che può essere compreso solo e soltanto immergendosi, in questo immenso riflusso musicale che, lentamente, ma anche – improvvisamente – avvolge tutto e tutti. Come uno tsunami di metallo liquido, freddo, buio, oscuro. Che copre la luce solare, che alimenta le tenebre. Marea le cui coordinate di azione sono dettate dai rigurgiti vocali di Ethan McCarthy e Mike Thompson, chitarristi nonché cantanti. Più che cantanti, creature affogate nel gramo liquido, dal quale si alzano gorgoglii e rigetti di varia natura sonora. Perfetti, nella loro straziante agonia per la vita che fugge, che cerca di scappare dagli incipienti, aggressivi fiotti di fluido.

In alcuni brani, la vastità della fusione pare non avere altro che dimensioni bidimensionali, planari (‘Withdraw’), in altre, invece, l’immane specchio amniotico prende, improvvisamente, una direzione ben precisa, le cui coordinate cartesiane sono dettate dai blast-beats (‘Feeble Gasp’). Come se la band avesse individuato un obiettivo da spazzare via dalla faccia della Terra, da annichilire.

Inquadrare correttamente “Grief Relic”, o meglio, illudersi di comprenderlo in ogni suo significato recondito, è operazione assai difficile, che richiede – peraltro – un notevole dispendio di energie mentali per riuscire a seguire la rotta tracciata dal timone manovrato dal quartetto di Atlanta. Nell’apparente uniformità di un sound troppo uguale a se stesso, tale da appiattire le canzoni, si scopre, via via che si prende confidenza con l’opera, che al contrario, ciascuno dei brani rispetta pedissequamente lo stile – unico – della formazione della Georgia ma, anche, vive di vita propria. Differenziandosi, e non di poco, l’uno dall’altro. Per andare al solo, è sufficiente focalizzare l’attenzione su ‘Downward’, violentissimo delirio grindcore inframmezzato da sulfurei rallentamenti doom, e l’elaborata, drammatica ‘To Glimpse Godliness’ che, come una trivella, cerca di giungere nelle più nascoste caverne della mente umana.

“Grief Relic” è un lavoro interessante, che merita di essere messo in salvo dal gorgo undeground che, come il Maelstrom, risucchia migliaia di act privi di carattere, di personalità. Cosa di cui abbondano, invece, i Whitered

Daniele D’Adamo

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