Recensione: Grind Canyon

Di Michele Carli - 14 Aprile 2011 - 0:00
Grind Canyon
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Anno: 2010
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Credo che ormai il nome Buffalo Grillz sia familiare a un bel po’ di appassionati di metal estremo di casa nostra, specie se cittadini della capitale. Un po’ a causa della grande quantità di concerti che questi ragazzi hanno avuto modo di suonare e di organizzare, ma anche a causa dei componenti del gruppo, tutti provenienti da valide band dell’underground nostrano. I ranghi, infatti, contano Gux al basso, già nei grandi Tsubo; Cinghio degli Orange Man Theory; Enrico Giannone degli Undertakers e Mastino dei Dr. Gore. Di certo non un gruppo di novellini.

Grind Canyon è il primo parto del gruppo: diciassette tracce di grind cazzone e spaccacollo, permeato di un’attitudine demenziale in gara con i conterranei deathsters Corpsefucking Art e con gente del calibro di Birdflesh e Gronibard, mai e poi mai collegati a qualcosa di “impegnato”. Comunque, si diceva: Grind Canyon è un disco grind, appunto, fortemente influenzato da diversi tipi di sonorità estreme. Si passa dal death metal, presente in dosi massicce, fino a qualche reminiscenza più sperimentale, probabilmente derivata dai già citati Orange Man Theory, passando comunque ogni tanto in casa Napalm Death per recuperare qualche passaggino, specie dal repertorio più recente dei maestri di Birmingham.

Vero punto forte della release è lo scarico di lavandino chiamato Enrico “Tombinor” Giannone, appassionatamente dedito alla voce e alle non-lyrics, come da libretto. La sua performance è ottima sotto tutti i punti di vista: rabbiosa, profonda e varia, efficace sia quando si tratta di raschiare il fondo della gola con i growl più bassi, sia nello screaming. La pulizia dei suoni dovuta alla produzione, in mano a Stefano Morabito del Cellar Studio per quanto riguarda il missaggio e addirittura a Scott Hull per il mastering, permette di ascoltare in modo distinto anche il basso di Gux, fortunatamente non escluso dai giochi e autore anche lui di un’ottima prova.
La cura nei suoni, però, non ha certo dato una mano a Mastino dietro alle pelli: i suoni della batteria, e in particolar modo il rullante, sono troppo sintetici, troppo staccati dal resto degli strumenti per essere veramente coinvolgenti, specialmente nei blast beat. Un problema tutto sommato trascurabile, anche se la batteria in un disco grind è a dir poco fondamentale, ma il vero neo, in Grind Canyon, è il songwriting. Le tracce (a parte Fisting Daisy, geniale traccia country) non hanno quel valore aggiunto in grado di farle spiccare dalla massa enorme di gruppi che popolano il settore e non hanno neanche abbastanza carisma per sopperire a questa mancanza. Poco coinvolgimento e, purtroppo, tanta freddezza.

Tuttavia, il disco non è di certo da buttare. Il prodotto è fatto bene, ben suonato e altrettanto ben curato, e se il suo compito è quello di menare sonoramente le mani come ogni sano disco grindcore, allora Grind Canyon è certamente un disco efficace. Ma per il resto, rimane un disco come tanti altri. Troppi altri. Aspetterò fiducioso i Buffalo Grillz al varco del secondo disco.

Michele “Panzerfaust” Carli

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Tracklist:
01. Il Grind è Servito
02. Cous Cous Clan
03. Elisir
04. Part I: The Birth
05. The Bossa Anova
06. Grindasia
07. Part II: The life
08. Grind Canyon
09. Fisting Days
10. Veni Vidi Grindi
11. New World Disagium
12. Graind Raccordo Anulare
13. Part III: The Death(trilogy)
14. Il Lago dei Cinghi
15. Grind Magne
16. Grind Gala
17. No Mastino No Grind (a rock’n’roll song) (Bonus Track)

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