Recensione: Guilty As Sin

Di Mauro Gelsomini - 30 Luglio 2003 - 0:00
Guilty As Sin
Band: Brazen Abbot
Etichetta:
Genere:
Anno: 2003
Nazione:
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89

Più che una pausa di riflessione, i sette anni di distanza tra questo nuovo album dei Brazen Abbot e il precedente “Bad Religion” sono stati il viatico per Nikolo Kotzev per intraprendere progetti paralleli e diffondere così la sua vena compositiva in tutto il mondo. Il chitarrista bulgaro, infatti, forte della collaborazione di un all star cast, ha prodotto nel 2001 la monumetale metal opera che risponde al nome di Nostradamus, progetto che per qualche tempo ha addirittura fatto pensare ad una possibile messa in disparte del monicker originale.
Così non è stato, come testimonia la nuova creatura del mastermind, ancora una volta circondato dai suoi amati vocalist: trovano infatti spazio anche su questo CD le ugole d’oro di Joe Lynn Turner, Jorn Lande e Goran Edman. Non mancano all’appello neanche i tre ex-Europe Mic Michaeli, Ian Haugland e John Leven, rispettivamente impegnati all’organo Hammond, alla batteria e al basso.

Il risultato è assicurato, e infatti non resteranno delusi gli amanti delle sonorità hard rock/aor oriented. Seppure non pomposo e magniloquente come era stato il suo predecessore “Nostradamus”, “Guilty As Sin” non nasconde la chiara matrice Rainbow/Deep Purple che da sempre ispira il leader dei Brazen Abbot, matrice resa ancor più evidente dalla voce di Turner, che irrompe nella hollywoodiana opener “One Life To Life”. Ritmi ancora elevatissimi con la successiva “Eyes On The Horizon”, affidata a Lande e alla sua verve tutta metallica, per una traccia dal sapore neoclassico, a metà strada dall’hard rock melodico dei Millenium e il sinfonic targato Malmsteen, con Nikolo in stratosferico duetto con l’Hammond di Michaeli. Segue una ballad, “I’ll Be Free”, cantata da Goran Edman, accompagnato da chitarra acustica, sinth, batteria, e suadenti cori sul chorus, quasi a formare un pacchetto natalizio degno di una Trans-Siberian Orchestra. La song è piacevole ma ripetitiva, e nel suo cullare rischia di diventare poco più che una nenia.
Sapore tutto ottantiano per “Slip Away”, introdotta dalle tastiere pomp di Michaeli e la ritmica pop/rock di Ian Hugland. Il refrain è di quelli da stadio, nella miglior tradizione Bon Jovi/Europe, con un Turner portabandiera del miglior hard rock mai concepito da mente umana. Anche qui trova spazio l’ubriacante solo di Kotzev, mai esagerato in termini di lunghezza e di virtuosismi, anzi, spesso è facile imbattersi nei suoi riff granitici e incalzanti, a dimostrazione che lo sfoggio della tecnica non è proprio cosa fondamentale per il nostro. E’ il caso del riffing in Savatage style di “Mr. Earthman”, interpretata da Lande nella perfetta incarnazione del nuovo album dei Millenium che forse non vedrà mai la luce. Il ritornello è un travolgente rock and roll di scuola Meat Loaf, senza respiro e ariosissimo al contempo. Forse la migliore track dell’intero album.
Ritmica e riffing si complicano sulle strofe della successiva “Like Jonah”, su rimembranze di Ark e del Malmsteen più intricato, salvo poi rilassarsi sul chorus, ancora una volta cantabile e easy-listening; non il massimo del coinvolgimento la prestazione di Edman, colpevole anche la scelta di sovraincidere diverse tracce vocali, per un esito non certo d’impatto.
D’altra caratura “Bring The Colors Home”, sapientemente vestita attorno alla voce di Jorn, in grado di interpretare al massimo il duplice volto della song: ballad struggente prima, mid tempo dal mood aggressivo poi, perfettamente raccordati da avvolgenti refrain.
Finalmente arriva la gloria anche per Goran Edman, che si cimenta nel tellurico hard rock di “Fool’s Confession”, con Meat Loaf a fare di nuovo capolino, stavolta sovrastato in maniera innegabile dai Queen più magniloquenti. La somiglianza per imitazione di Freddy Mercury da parte dell’ex singer di Yngwie è una piacevole riscoperta.
Joe Lynn Turner riporta in auge il sound dei Whitesnake di 1987 con “Supernatural”, rock tutto lustrini che sul finale rende onore anche a Leven, in duetto con Kotzev su tempi serratissimi.
Si prosegue con “Eve”, ballatona romantica carica di emotività che vede ancora in grande spolvero Edman, cui viene relegato l’arduo compito di destreggiarsi tra le strofe nella forma di un lento e iterato saltarello. Tra cori e arrangiamenti, l’impresa riesce e la song conferma la buona impressione iniziale.
Si torna al brio dell’hard rock purpleiano con “A Whole Lotta Woman”, su cui si impone la timbrica ruggente di Lande, e su cui molto possono sbizzarrirsi gli altri strumentisti, traghettati come sempre dai turbinanti soli di Kotzev.
Malinconia alla “Mistreated” per la conclusiva title-track, per una ormai inattesa inversione di tendenza rispetto al resto del songwriting. Ammirevole il divenire di Stargazeriana memoria che trascina dalla metà canzone verso il lungo, asfissiante finale di stampo Judas Priest.

Dall’ascolto più facile di quanto era stato “Nostradamus”, il nuovo Brazen Abbot perde un po’ la ricercatezza negli arrangiamenti e l’istrionismo sonoro che avevano caratterizzato l’ambiziosa opera rock, ma non delude le aspettative di chi si immaginava un platter curato, coinvolgente e, in poche parole, di classe come solo un maestro dell’hard rock melodico come Nikolo Kotzev avrebbe saputo concepire.

Traclist:

01. One life to live
02. Eyes on the horizon
03. I’ll be free
04. Slip away
05. Mr. Earthman
06. Like Jonah
07. Bring the colors home
08. Fool’s confession
09. Supernatural
10. Eve
11. A whole lotta woman
12. Guilty as sin

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