Recensione: Guten Tag

Di Francesco Gabaglio - 14 Novembre 2012 - 0:00
Guten Tag
Band: Varg
Etichetta:
Genere:
Anno: 2012
Nazione:
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60

Ve lo ricordate “Wolfskult”? L’album, pubblicato dai Varg nel 2010, era caratterizzato da un’interessante commistione tra il sound originario e più schiettamente pagan dei loro esordi e sonorità più facili, che davano forma a ritornelli semplici e orecchiabili. Il risultato, anche considerando l’ottima produzione, era un disco indubbiamente apprezzabile, completo e variegato, che si muoveva agilmente tra pagan, black, death e vari altri sound, pur mantenendo una forte coerenza interna. Il successore di un full-length del genere non poteva che avere vita difficile: la consapevolezza delle capacità della band e l’abbondante pubblicità non hanno fatto che accrescere le aspettative del pubblico per questa nuova fatica. Ed è proprio per questo che “Guten Tag” rappresenta, a tratti, una delusione davvero bruciante.

Ma procediamo con ordine. Si è detto che il precedente “Wolfskult” era il prodotto di un sapiente innesto di sonorità “facili” nel sound più “estremo” degli esordi. Partendo da qui, il gruppo ha deciso di puntare ad uno sviluppo del primo elemento, dando un deciso taglio al passato e operando un cambiamento generale di rotta: l’intento, peraltro dichiarato anche alla stampa specializzata, è quello di massimizzare il bacino di ascoltatori e puntare il più in alto possibile nelle classifiche.
Ciò implica, in questa nuova fatica, una serie di conseguenze non da poco: il sound è pesantemente influenzato dal rock e dal punk; i brani (con una sola eccezione) non superano i 5 minuti in durata, mantenendosi in genere sui 3 o 4; i testi vengono epurati da ogni evidente traccia tematica pagana e anche l’impatto visivo stesso della band cambia: l’abbigliamento di pelle rinforzata, a quanto pare giudicato troppo infantile, viene sostituito da un comunissimo guardaroba nero; le foto promozionali della band sono scattate in uno scantinato, con tubature e cemento armato a fungere da cornice. Ma non solo: la metamorfosi è evidente anche dal booklet stesso e dalla copertina del CD, dalle quali è assente lo schema cromatico “schwarz und rot” (nero e rosso) che i Varg avevano fieramente fatto proprio nella precedente release: ora è il bianco a dominare. Lo schwarz-rot rimane invece nelle pitture da guerra sui visi del quintetto tedesco, il quale, da quanto si può evincere dalle interviste rilasciate, lo considera un relitto del passato ma decide di conservarlo in quanto univoco segno di riconoscimento, da non rinnegare nella tanto auspicata ascesa nelle classifiche. Compiute queste doverose – anche se forse un po’ scoraggianti – premesse, eccoci al momento della verità: tenendo il booklet bianco-rosso sott’occhio, e un po’ stupiti dal bislacco titolo dell’album (Guten Tag, cioè ‘buongiorno’), andiamo ad analizzare, traccia dopo traccia, ciò che Freki e soci propongono alle nostre orecchie.

La prima carta del mazzo viene purtroppo già sprecata: “Willkommen” (‘benvenuto’), breve e francamente inutile introduzione di 25 secondi, è composta da rumori di un’automobile e suoni di chitarra e fa immediatamente rimpiangere le epiche introduzioni orchestrali dei lavori precedenti. Segue a ruota “Guten Tag”, vera opener del disco, simbolo e cavallo di battaglia del nuovo corso intrapreso della band: una ritmica veloce e coinvolgente ci presenta, dopo nemmeno 30 secondi, un ritornello molto orecchiabile e dallo stile decisamente accostabile al cosiddetto deutschrock, il punk-rock tedesco (uno dei termini di paragone più calzanti potrebbero essere i Frei.Wild); il brano è senza dubbio trascinante e dall’effetto assicurato in sede live, tuttavia costituisce anche un primo, sicuro shock per chi si accosta a quest’album conoscendo già quelli precedenti e avendo quindi delle precise aspettative. “Frei wie der Wind” (‘libero come il vento’) prosegue su questa stessa china, con un ritornello che appare stavolta dopo soli 15 secondi e nel quale troviamo lo stesso cantato di matrice punk-rock della title-track. La traccia seguente, intitolata “Was nicht darf” (‘ciò che non è permesso’), si può definire, in modo forse severo ma legittimo, piuttosto insopportabile. Il sound è spudoratamente rubato dai connazionali Rammstein e la melodia nelle strofe è inesistente; solo il ritornello si distanzia un poco dal resto. Dal canto suo il testo, che tratta un tema pur importante come gli abusi sui bambini compiuti dal clero, è stereotipato e ambisce ad essere provocatorio in modo forse ostentato e sforzato, senza affermare nulla di veramente rilevante. Dopo un colpo basso del genere, i Varg hanno almeno la buona creanza di risollevare il morale dell’ascoltatore con i brani seguenti, che si riavvicinano al territorio sonoro (e, in parte, anche tematico) dei vecchi album: “Blut und Feuer” (‘sangue e fuoco’), abbastanza varia al suo interno, risulta davvero piacevole e di buona fattura; “Angriff” (‘assalto’), fa invece la gioia dei fan di lunga data in quanto s’ispira palesemente all’album d’esordio, Wolfszeit: nonostante abbia un calo qualitativo nella seconda metà e non sia particolarmente originale, si tratta di un brano comunque apprezzabile. Il pezzo seguente, “Horizont”, spicca per un ritornello piuttosto soft e cantabile ma comunque molto coinvolgente e di buona qualità, a metà strada tra il sound dei nuovi e quello dei vecchi Varg.
Se in questi ultimi brani appena passati in rassegna i Varg ci hanno permesso di ricordare chi erano, i seguenti ritornano in linea con la nuova direzione intrapresa. “A thousand eyes” è infatti la prima canzone cantata in inglese in tutta la discografia della band ed ospita alla voce una figura di spicco del folk metal mondiale: Jonne Järvelä dei finnici Korpiklaani. Nonostante il lustro che un nome simile può conferire, la sua voce e il clima che da essa emana non riesce ad amalgamarsi in modo soddisfacente col resto dell’album; a ciò si aggiunge un testo banale, che insiste platealmente e con scarsi risultati sul campo semantico della ribellione (“We are the final resistance: revolution in our eyes! Revolt – Unite – Revolt – Arise!”) e che più che altro ricorda gli Heaven Shall Burn di “Endzeit”, dalla quale è tratta pari pari la frase “we are the final resistance”: che si tratti di tributo, plagio o inconsapevole citazione, si ha la netta sensazione che i Varg stiano sconfinando in territori che non gli si addicono e all’interno dei quali non si sanno muovere.
Come se non bastasse, il brano seguente va ad esacerbare le perplessità dell’ascoltatore: “Wieder mal verloren” (‘di nuovo smarrito’), ritorna alle influenze punk-rock e vi introduce elementi che vorrebbero avvicinarlo al sound di band come gli In Extremo: troviamo infatti come ospite alla cornamusa Päde Kistler degli svizzeri Eluveitie. Dell’intera traccia, solo una variazione nella seconda metà risulta davvero piacevole, mentre il resto è stucchevole e, francamente, dimenticabile.
Si prosegue poi con “Gedanke und Erinnerung” (‘pensiero e ricordo’), dal sound più usuale e familiare, la quale scorre senza lasciare particolari tracce nella mente dell’ascoltatore. Da qui alla fine dell’album, il sound più tipico dei Varg torna a dominare quasi incontrastato. “Leben” (‘vita’ o ‘vivere’) è caratterizzata da un’apertura impetuosa, da un riff travolgente e da un ritornello orecchiabile e cadenzato, che porta poi a dei passaggi di chitarra acustica in cui è evidente la memoria dei Blind Guardian. Anche a livello tematico, pur non spiccando in originalità, la canzone si situa ad un livello un poco più alto rispetto alle precedenti: il testo tratta infatti del concetto, inveterato nella tradizione letteraria europea, dello scorrere del tempo e della necessità di cogliere l’attimo (“Die Tage ziehen so schnell vorbei, und keiner kommt zuruck: wenn du es wirklich willst, dann nutz den Augenblick” – ‘i giorni scorrono così velocemente, e nessuno torna indietro: se lo vuoi davvero, cogli l’attimo’, evidente richiamo al “carpe diem” oraziano). Tutto ciò non può che far piacere, in quanto ricorda i Varg più impegnati di Wolfskult, alle prese con il concetto romantico della Sehnsucht.
“Anti”, dodicesimo brano, prosegue su questa stessa linea sonora, sviluppandosi però in modo più aggressivo; tutto sommato, si tratta di un pezzo accostabile – anche qualitativamente – al vecchio repertorio del quintetto tedesco. Ombre scure si addensano poi nel tredicesimo elemento del lotto, “Apokalypse”, musicalmente poco interessante ma dal testo senza dubbio cupo e dannatamente suggestivo. È poi presente anche una traccia supplementare, non elencata nelle tracklist ma segnalata nel booklet col titolo di “Vorzeichen” (‘presagi’). Nonostante non aggiunga quasi nulla a quanto sin qui ascoltato, è caratterizzata da un sound che vira a tratti verso il black melodico svedese (ricordando, ad esempio, gli ultimi Naglfar), il che la rende comunque apprezzabile e chiude così l’album in modo abbastanza degno.

Che dire al termine di questa disamina? Con Guten Tag, i Varg ci propongono della musica piuttosto diversa rispetto a quanto fatto in passato: la volontà di cambiare rotta e di fare vela verso lidi più facili e commerciali è evidente. È altrettanto evidente che la composizione dell’album non deve aver seguito uno schema preciso o un piano stabilito a priori, e forse questo è uno dei difetti maggiori che gli si possono imputare. Il risultato è infatti un lavoro estremamente eterogeneo, molto più di quanto non lo fosse il suo predecessore: l’impressione che molti brani appartengano ad universi completamente separati e che l’album manchi di unità non è quindi fuori luogo. Si è fatto il nome di Frei.Wild, Rammstein, Korpiklaani, Heaven Shall Burn, In Extremo, Eluveitie, Blind Guardian e Naglfar (ma si potrebbe certamente continuare la lista): tutte band che, in un modo o nell’altro, rientrano nell’album. Band le cui peculiarità, tuttavia, non vengono veramente integrate nel sound dei Varg bensì vengono solo imitate, con risultati spesso deludenti o comunque non particolarmente degni di nota. La situazione è simile nei i brani più tipicamente varghiani, i quali, inevitabilmente, non riescono a reggere il confronto con i – pur simili – lavori precedenti. Ben lontano da essere un lavoro oggettivamente brutto, Guten Tag è quindi un album in cui si susseguono in modo ciclico momenti decisamente apprezzabili ed esaltanti, momenti dimenticabili e momenti assolutamente da dimenticare: al termine dell’opera, l’ascoltatore che ha familiarità con i lavori precedenti del quintetto rimarrà con l’amaro in bocca, sentendosi un po’ tradito. Viceversa, coloro che non conoscono la band potrebbero trovare “Guten Tag” un album accattivante e con molti spunti interessanti. Personalmente, ho acquistato questo album perché volevo ascoltare i Varg, ma ciò che ho sentito è stato un collage di tutt’altro. Non rimane quindi che sperare nella prossima fatica del combo teutonico.

Francesco Gabaglio

Tracklist:
1.Willkommen
2. Guten Tag
3. Frei wie der Wind
4. Was nicht darf
5. Blut und Feuer
6. Angriff
7. Horizont
8. A thousand eyes
9. Wieder mal verloren
10. Gedanke und Erinnerung
11. Leben
12. Anti
13. Apokalypse
14. (Vorzeichen)

Durata complessiva: 54 min circa

Lineup:
Freki:voce
Managarm: basso, backing vocals
Fenrier: batteria
Hati: chitarra
Skalli: chitarra

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