Recensione: Hallway Of Dreams

Di Riccardo Angelini - 15 Marzo 2009 - 0:00
Hallway Of Dreams
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Anno: 2008
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55

2001: ‘Mother Earth’, uscito da appena un anno, ha portato al successo internazionale gli allora misconosciuti Within Temptation, diventando disco di platino e inaugurando l’era radio-friendly del loro gothic melodico. Mentre la band fiamminga si appresta ad abbandonare lo status di progetto a tempo perso per entrare di gran carriera nel music business professionale, il batterista Ivar De Graaf fa un passo indietro, consapevole che la permenenza nella formazione di origine limiterebbe inevitabilmente il suo spazio creativo. Entra così nei Jambone, rock band senza pretese che si estingue in meno di un anno. Tanto basta però a Ivar per stringere un sodalizio con la cantante classica Judith Rijnveld. Sulla base della comune passione per gruppi come Porcupine Tree, Peter Gabriel, Tori Amos e Kate Bush vedono la luce i Kingfisher Sky, terreno di libero sfogo creativo, svincolato da logiche di genere. Nato come una collaborazione a due, il progetto diventa una vera e propria band con l’arrivo di forze fresche dal panorama olandese: le chitarre Edo Van Der Kolk (già nei Jambone) e Daan Janzing (Bodybag Society e SeparationS), il bassista Eric Hoogendoorn (Orphanage e Silicon Head) e il tastierista George van Olffen (ex-Secret Sounds e Moonflower). Dopo cinque anni di lavoro, ecco pronto il debut ‘Hallway Of Dreams’, pubblicato nel 2007 e distribuito nel 2008 da Suburban.

Fin qui la storia. E i contenuti? L’iniziale proposito di Ivar e Judith di astenersi da legami con un genere piuttosto che un altro è stato mantenuto, ma fino a un certo punto. Da un lato emergono influenze progressive, o meglio, neoprogressive, sia pure irrobustite da un’impostazione fondamentalmente metal. Dall’altro permane il marcato ascendente gothic dei Within Temptation, ribadito non soltanto dalle linee vocali di Judith ma anche da una spiccata predispone per la melodia, a tratti ai limiti del pop. È in particolare su quest’ultimo aspetto che sembrano spingere in modo particolare i Kingfisher Sky. I brani presentano infatti arrangiamenti curati e strutture (soprattutto ritmiche) non lineari, ma anche a causa della durata contenuta – quasi mai oltre ai cinque minuti – dal punto di vista tecnico non offrono spunti granché avvincenti, né la benché minima traccia di sperimentazione. L’attenzione si sposta così sulle melodie, e qui la scena subisce il dominio inconstrastato di voce e tastiere. L’onnipresente Olffen dispone un repertorio indubbiamente degno di nota, ma raramente prende l’iniziativa e si azzarda oltre i binari di sua stretta competenza, contentandosi spesso di un ruolo di mero accompagnamento. La brava Rijnveld può giovarsi da parte sua di un timbro pultio e cullante, ma difetta della personalità necessaria a reggere il peso delle composizioni. I problemi emergono puntuali al momento dei refrain, stiracchiati, talvolta ripetitivi, sovente innocui. L’opener ‘The Craving’ illude con qualche spunto folk presto abbandonato (qualcosa resta sulla semi-acustica ‘Big Fish’, e poco altro): dalla title-track in poi le note si fanno lunghe, placide, anche un po’ troppo ruffiane. Eloquente il caso del singolo ‘November’, facile a memorizzarsi come ad annoiare. L’unica sorpresa verrà dalla conclusiva ‘Sempre Fedele’, che in modo un po’ estemporaneo si presenta con titolo e inizio di strofa in italiano.

Manca ai Kingfisher Sky la forza di lasciare il segno, contentandosi di un pugno di brani che, con la dovuta promozione, potrebbero anche trovare posto in radio – o almeno avrebbero potuto qualche anno fa, quando i Within Temptation iniziavano la loro scalata al successo e gli Evanescence imperversavano sulle classifiche di mezzo mondo. Allo stato attuale delle cose, la carne al fuoco appare davvero pochina. La sensazione di già sentito domina l’ascolto fin dalle prime note, in modo che paradossalmente quello che voleva essere un disco di facile fruizione fatica a trovare la sua audience ideale: troppo prevedibile per chi cerca qualcosa di nuovo, poco longevo per chi si accontenta di qualche buona melodia. Chissà, con un po’ di voglia di osare in più, l’esito avrebbe potuto essere ben diverso.

Riccardo Angelini

Tracklist:
1. The Craving (3:41)
2. Hallway Of Dreams (4:16)
3. Balance Of Power (4:21)
4. November (4:19)
5. Big Fish (3:28)
6. Through My Eyes (5:07)
7. Seven Feet (4:12)
8. Persephone (3:22)
9. Her White Dress (4:08)
10. Brody (4:36)
11. Sempre Fedele (4:08)

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